domenica 10 maggio 2009

Italia, Ue vede Pil 2009 a -4,4%, debito/Pil a 113%

http://borsaitaliana.it.reuters.com/article/businessNews/idITMIE54309K20090504?sp=true

BRUXELLES (Reuters) - La Commissione Ue ha rivisto al ribasso le proprie stime sulla crescita italiana di quest'anno e il prossimo, correggendo invece al rialzo le cifre relative a disavanzo e debito pubblico.

Il peggioramento evidenziato dalle previsioni primaverili di Bruxelles non sorprende e non riguarda solo l'Italia. Per l'Europa l'esecutivo comunitario parla della "recessione più profonda e diffusa dell'era post-bellica", ma segnala anche a fine 2009 l'avvio di una ripresa globale destinata a consolidarsi nel 2010.

Il Pil italiano dovrebbe contrarsi del 4,4% quest'anno secondo Bruxelles, che per il complesso dell'area euro stima invece una riduzione del prodotto del 4%. Nel 2010 tuttavia l'Italia dovrebbe vedere un'espansione dello 0,1% contro una media Uem ancora negativa (-0,1%), a riflesso dei segni meno attesi per Francia, Spagna e paesi più piccoli come l'Irlanda.

"Le prospettive per la prima metà del 2009 sono fortemente sfavorevoli", scrive la Commissione nelle pagine dedicate all'Italia. "Il Pil reale dovrebbe registrare un'altra forte contrazione nel primo trimestre 2009 continuando a flettere per gran parte dell'anno pur muovendo verso una stabilizzazione".

"Nel 2010 l'attività economica è vista stabilizzarsi a livelli modesti" in scia a una timida ripresa di consumi ed esportazioni, mentre agli investimenti servirà più tempo per ripartire.

PER UE DEBITO/PIL 2010 A 116,1%, RISCHIO SALGA PER BANCHE

Per quanto riguarda i conti pubblici, come la quasi totalità dei paesi dell'euro, l'Italia supererà il limite del 3% con un deficit/Pil pari al 4,5% quest'anno e al 4,8% il prossimo (a politiche invariate). In gennaio le stime erano 3,8% e 3,7%.

Appesantito dalla caduta del Pil e dall'erosione dell'avanzo primario, il debito dovrebbe balzare al 113% del Pil e salire al 116,1% nel 2010. A questo proposito Bruxelles sottolinea che, a seconda dell'ampiezza del ricorso delle banche ai meccanismi di ripatrimonializzazione disponibili, il debito potrebbe aumentare ancora fino a un punto percentuale di Pil.

Le ultime previsioni del governo - contenute nella Relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica (Ruef) della scorsa settimana - segnalano per quest'anno e il prossimo un deficit pubblico al 4,6% del Pil. Il Tesoro stima che il debito salirà al 114,3% del prodotto interno nel 2009 arrivando al 117,1% nel 2010. Sulla crescita le cifre di Via XX Settembre sono -4,2% per il 2009 e +0,3% per il 2010.

Le stime del governo non si discontano eccessivamente da quelle di Bruxelles mentre peggiori sono alcune delle previsioni del Fondo monetario internazionale che ha indicato un debito al 121% del Pil nel 2010. Il deficit italiano si tiene peraltro al di sotto della media Uem, indicata dalla Commissione al 5,3% del Pil quest'anno e al 6,5% il prossimo.

La "relativa solidità del sistema bancario e la prudente risposta di finanza pubblica al rallentamento congiunturale hanno limitato finora l'impatto della crisi sui conti" quest'anno, osservano i tecnici della Commissione.

A questo proposito il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ha espresso apprezzamento per il giudizio di Bruxelles, sottoscrivendo appieno le stime della Commissione.

"Ci riconosciamo assolutamente nei numeri della Commissione e soprattutto apprezziamo le parole del rapporto dove si parla di sana e prudente gestione di bilancio", ha detto al suo arrivo a Bruxelles per l'Eurogruppo.

DISCIPLINA PATTO UE SEMPRE IN VIGORE

Il Commissario agli Affari economici Joaquin Almunia ha avvertito che la disciplina del Patto di Stabilità è sempre in vigore, preannunciando azioni per ora limitate ai paesi il cui deficit ha infranto il limite del 3% del Pil già nel 2008.

"Nei prossimi mesi si dovrà avviare una discussione sulle misure appropriate per i paesi il cui deficit oltrepasserà il limite del 3% nel 2009", ha detto Almunia al termine dell'Eurogruppo ricordando l'appuntamento di giugno con la revisione degli obiettivi di medio termine. "Bisognerà prendere le decisioni del caso ma non c'e' dubbio sul fatto che il Patto verrà applicato".

In precedenza il ministro delle Finanze tedesco Peer Steinbrueck aveva affermato che "c'è ampio consenso a sostegno di iniziative della Commissione sulle procedure per deficit eccessivo".

Per l'Italia il rapporto della Commissione segnala "il peggioramento del saldo di bilancio strutturale" tra 2007 e 2008: l'aumento del deficit/Pil a 2,7% da 1,5% ha neutralizzato in parte i decisi miglioramenti strutturali ottenuti tra 2006 e 2007.

Pur con il deficit in salita, il saldo al netto di una-tantum ed effetti del ciclo dovrebbe migliorare di 3/4 di punto di Pil nel 2009, anche grazie a minori spese per interessi, per poi peggiorare leggermente nel 2010.

Bruxelles indica per il 2009 un tasso d'inflazione armonizzato di 0,8% in Italia, in salita a 1,8% il prossimo anno. La disoccupazione calcolata secondo criteri Eurostat è vista all'8,8% quest'anno e al 9,4% il prossimo. A livello di area euro la disoccupazione arriverà all'11,5% il prossimo anno.

Le stime intermedie diffuse dalla Commissione europea in gennaio vedevano per il Pil italiano del 2009 un calo del 2% seguito da una ripresa di 0,3% il prossimo anno. Il disavanzo era visto salire al 3,8% del Pil quest'anno e arretrare marginalmente al 3,7%. Il debito saliva invece dal 109,3% di fine 2009 al 110,3% di fine 2010.

Crolla il Pil italiano, aumenta il debito pubblico

Le previsioni di primavera della Commissione Europea, stimano un calo del Pil italiano del 4,4% nel 2009, mentre la precedente stima era solo del 2%. La drastica revisione è dovuta alla congiuntura negativa dell'intera area euro, -4%, all'aumento delle spese statali, al calo dell'occupazione nei prossimi anni ed al generale contesto di crisi.

http://new.bluerating.com/mercati/170-primo-piano/6140-crolla-il-pil-italiano-aumenta-il-debito-pubblico.html


Il fabbisogno del settore statale, come comunica una nota del ministero dell’Economia, nei primi quattro mesi del 2009 è stato pari a 48.400 milioni di euro, dato nettamente superiore all’analogo del 2008 di 31.411 milioni. Questo dato sconta la concentrazione di interventi a sostegno dell’economica, rispetto all’anno precedente, quali l’erogazione del “bonus famiglia” e maggiori rimborsi fiscali da parte dei concessionari della riscossione, in gran parte dovuti a crediti d’imposta ultradecennali. Il riacquisto da parte degli enti previdenziali, come riporta il Tesoro, risulta appesantito per circa 1.700 milioni dall'operazione relativa al riacquisto da parte degli enti previdenziali degli immobili, nonché da un incremento dei prelievi dai conti della tesoreria statale da parte delle regioni.

La Commissione Europea ha rivisto ieri le stime del Prodotto Interno Lordo italiano, all’interno delle proprie previsioni di primavera: si parla di una drammatica flessione del 4,4%, ma che dovrebbe attestarsi attorno allo 0,1% nel 2010. Come riporta l’Amsa, lo scorso gennaio l'esecutivo Ue aveva previsto un -2% nel 2009 e un +0,3% nel 2010. Le nuove stime di Bruxelles sono un po' più pessimistiche di quelle del governo, che nella Relazione unificata ha indicato un -4,2% quest'anno e un +0,3% il prossimo.

Per quanto riguarda il deficit, invece, la Commissione Europea ha previsto un incremento dell’1,8% rispetto al 2008 e del 2% nel 2010, a politiche costanti. Il debito pubblico, inoltre, crescerà anch’esso nei prossimi due anni, balzando dal 105,8% del 2008 al 113% quest’anno, con un ulteriore balzo sino al 116,1% nel 2010. In sostanza, il rapporto debito-Pil è previsto ritornare agli alti livelli record di fine anni ’90. Come si legge dal rapporto della Commissione: ''Il debito potrebbe aumentare ulteriormente di circa un punto in percentuale del Pil, in base alla portata del ricorso che le banche faranno al piano di ricapitalizzazione".

Sul lavoro e l'occupazione, la Commissione si è espressa così: “Nonostante il peggioramento dell'attività economica, l'occupazione è aumentata nei primi 3 trimestri del 2008, soprattutto nel settore dei servizi. Ha iniziato a diminuire solo nell'ultimo trimestre. Il tasso di disoccupazione ha iniziato ad aumentare nel 2008 poiché le persone alla ricerca di un'occupazione, molte delle quali donne o immigrati appena registrati, sono state superiori alle nuove assunzioni. Il calo dell'occupazione previsto per il 2009 e il 2010 risulterà in un ulteriore aumento del tasso di disoccupazione”.

Giulio Tremonti, a Bruxelles per la riunione dell’Eurogruppo e dell’Ecofin, in seguito alle critiche del segretario del PD Dario Franceschini, come riporta wallstreetitalia, ha dichiarato: “Tali dati sono buoni per l’Italia. Il governo ha fatto bene, se avesse fatto diversamente avrebbe causato più crisi. Se Franceschini, che ha girato la Ue con il treno, fosse venuto a Bruxelles, glielo avrebbero spiegato. Sempre parlando di treni bisogna immaginare un passaggio a livello, un'auto bloccata con su una famiglia, con il treno che arriva: Franceschini e Bersani tifano per il treno, noi tifiamo per la famiglia".
Il taglio della stima Ue è dovuto “al significativo impulso negativo” scaturito nel 2008. “Nel 2009 – spiega il rapporto di Bruxelles - il Pil italiano è previsto registrare la più forte caduta annuale da parecchi decenni. La previsione per la prima metà del 2009 è fortemente sfavorevole - si legge ancora nel rapporto - gli indicatori di breve termine indicano una protratta riduzione dell'attività economica. In particolare la produzione industriale si è contratta in modo netto nei primi due mesi e a marzo dovrebbe diminuire di nuovo”.

Tuttavia, vi sono anche dei segni di ripresa: “la fiducia dei consumatori è migliorata in aprile e gli incentivi per l'acquisto di automobili più efficienti dal punto di vista energetico stanno avendo un impatto positivo. Anche la fiducia delle imprese è in ripresa in aprile dopo il crollo di marzo".

Anche Joaquin Almunia, commissario europeo agli Affari Economici e Monetari, ha sottolineato come: "Non siamo più in caduta libera, ma non si può ancora dire che stiamo uscendo dalla crisi perché siamo nel mezzo di una grave e profonda recessione”. Attualmente, però, “l'economia europea è nel mezzo della recessione più profonda ed estesa dal dopoguerra”.

Per quanto concerne la zona euro, la Commissione di Bruxelles ha stimato che il Pil calerà del 4% e resterà sotto lo zero anche nel 2010 (-0,1%). Stesse stime per l'Ue a 27, come riporta l’Amsa. Nella zona euro il dato più pesante per il 2009 è quello dell'Irlanda (-9,0%), seguita da Germania (-5,4%), Finlandia (-4,7%), Italia (-4,4%). La Spagna, secondo Bruxelles, farà registrare un -3,2%, la Francia un -3,0%.

Crisi/ Ad aprile la cassa integrazione ordinaria vola a +864%

Roma, 7 mag. (Apcom) - L'istituto di previdenza sottolinea che si tratta di una "frenata visibile", che si registra in un contesto ancora caratterizzato da un forte incremento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, quando ancora la crisi internazionale non si era ancora manifestata. Nei primi quattro mesi, sempre riferito al settore industria e artigianato, sono state autorizzate complessivamente 124,3 milioni di ore di Cigo (+669,8% rispetto ai primi quattro mesi del 2008) e 60,6 milioni di ore di Cigs (+78,78%). I settori dell'industria che hanno fatto registrare un più massiccio incremento percentuale nel ricorso alla Cigo sono stati rispettivamente il metallurgico (+5.176%), i trasporti e comunicazioni (+3.752%), il chimico (+1.433%) e il meccanico (+1.300%). In particolare le ore di Cigo autorizzate agli impiegati (sempre nell'industria) sono aumentate di quasi il 1.000% passando da 1,9 milioni nel periodo gennaio-aprile 2008 a 20,4 milioni di ore nello stesso periodo di quest'anno. Una considerazione a parte merita l'edilizia: il forte incremento di ore autorizzate (8,7 milioni di ore in aprile, +146,16% rispetto allo stesso mese del 2008) potrebbe essere fortemente condizionato dalle condizioni meteorologiche, spiega l'Inps, una delle cause più frequenti per far ricorso alla Cig nel settore. Crescita forte, ma frenata nella corsa alle autorizzazioni per la cassa integrazione. Così come aumento, ma sensibilmente ridotto nella presentazione di domande di disoccupazione. Dopo il picco di 375mila domande presentate nel mese di marzo, in aprile le richieste sono state meno di 300mila, portando complessivamente il totale dei primi quattro mesi dell'anno a poco più di un milione, il 38,5% in più rispetto allo stesso periodo del 2008, quando erano state presentate quasi 760mila domande per il sussidio di disoccupazione. Nei primi tre mesi dell'anno l'incremento registrato sullo stesso periodo dell'anno precedente era stato quasi del 46%. In totale (industria, artigianato, edilizia) le ore di cassa integrazione autorizzate (Cigo più Cigs, compresa la deroga) nel primo quadrimestre dell'anno sono state oltre 205 milioni, per un valore complessivo di poco meno di 2 miliardi di euro di risorse impegnate: meno del 13% della somma di 16 miliardi di euro (12 per Cigo e Cigs, 4 per la cassa in deroga) messe a disposizione per il 2009. "La capienza pare quindi ampiamente sufficiente per sopportare l'attuale ricorso alla Cig - aggiunge l'Inps - anche perché nel 2008 il consumo reale di cassa integrazione da parte delle aziende è stato tra il 60 e l'85% del monte di ore autorizzate. Dai flussi di cassa Inps, nei primi tre mesi del 2009 (gli unici per ora disponibili), il tiraggio reale della Cig è di gran lunga inferiore alla media registrata nel 2008, attestandosi al di sotto del 40% del totale di ore autorizzate".

http://www.wallstreetitalia.com/articolo.asp?art_id=723260

giovedì 7 maggio 2009

I have a dream

5 maggio - a Forlì il candidato Sindaco uscito dalle primarie del PD (un forlivese ... noto e piuttosto popolare solo perché un uomo di cultura, docente di storia moderna, autore di saggi sul risorgimento locale, ma anche sulla storia moderna della romagna - suo un saggio che ha fatto scalpore qualche anno fa - attivista del movimento mazziniano romagnolo ... che per soli 4 voti ha avuto ragione sul sindaco uscente - creando uno scompiglio esagerato) dicevo, Roberto Balzani ha presentato alla città il progetto di adozione (per la prossima legislatura) di strumenti di democrazia partecipativa quali il piano regolatore partecipato e il bilancio partecipato oltre ad altre forme di partecipazione dei cittadini (con metodo decisionale) su temi quali integrazione sociale con i "migranti", giovani e problematiche giovanili, anziani e servizi sociali, relazioni istituzionali sui problemi infrastrutturali ed ambientali coordinate con altri Comuni del circondario ...

Insomma come detto dallo stesso Balzani sarà questa una rivoluzione politica e culturale che lascerà un segno storico nella vita di Forlì per i prossimi 5, 10, 15 anni almeno!

Di più, in collaborazione con fai notizia (sul modello del web partecipato), l'intenzione reale di attivare relazioni web efficienti e collaborative (open source e simili) con i cittadini, funzionali a dare agli stessi accessi rapidi e completi sull'attività dell'amministrazione che non dovrà essere solo trasparente ma anche "traspirante" ...

Informazione pubblica completa e comprensibile che coniughi la comunicazione istituzionale con la formazione civica.

Come dire ... "abbiamo un sogno in comune ... le democrazia partecipativa"

Il prossimo passo sarà fargli dire che introdurrà nello statuto comunale il referendum propositivo e deliberativo ... so che si può fare !!!

La credibilità del candidato sindaco non è in discussione, è credibile e convinto ma consapevole della portata della "scommessa" politica.

Il percorso è stato avviato con metodo e criterio ...

Ora segue la fase di diffusione e sperimentazione fra i cittadini ....

La fase virale è quella più delicata perché ha bisogno di misura e non di fughe troppo in avanti ...

Si tratta di calibrare bene e poco per volta ... per evitare fraintendimenti e incomprensioni ...

Dobbiamo pensare che siamo sempre in un quadro politico fatto da partiti "tradizionali" e da gente schierata o in modo ideologico e preconcetto o diffidente per mancata conoscenza (non certo per ignoranza ... di questi temi e di questi metodi se ne è praticato in anni "non sospetti" - dalla metà degli anni 80 all'inzio degli anni '90 - col decentramento amministrativo e con risultati eccellenti)

Quello che conta è che d'ora in poi e durante la campagna elettorale queste proposte vengano recepite dagli elettori come strumenti praticabili concretamente!

Questa proposta deve poter arrivare alle elezioni con la stessa dignità delle altre più consuete in modo tale che i cittadini forlivesi comprendano la loro portata innovativa in un quadro tradizionale!

per saperne un po di più:

«(6/5/2009 16:02) |

(Sesto Potere) - Forlì - 6 maggio 2009 - Queste le proposte concrete di Roberto Balzani sindaco per cambiare il rapporto tra amministrazione e cittadini nel format sulla democrazia partecipata svoltosi ieri sera, nel quale sono state illustrate le modalità concrete con cui si possono realizzare nuove forme di partecipazione da parte dei cittadini, sono state anche presentate, con interviste realizzate dai “Reporter di Balzani” alcune esperienze recenti riferite al decentramento amministrativo nelle circoscrizioni cittadine.

Nell’intervento con cui ha concluso il confronto, dopo aver risposto alle domande dei cittadini presenti ed aver rivendicato alla sua proposta la capacità di mettere in moto nuove energie partecipative, senza alcuna concessione né alle demagogia tipica della destra né all’assemblearismo fine a se stesso, Balzani ha indicato le linee concrete, lungo le quali intende muoversi in futuro:

anzitutto, la definizione – entro l’autunno – di un piano della democrazia partecipata del comune di Forlì, che preveda le forme attraverso le quali i cittadini saranno chiamati a dare liberamente il loro contributo all’attività della giunta e del consiglio;

in secondo luogo, la creazione di percorsi on line, riservati ai cittadini utenti, per validare i servizi comunali secondo il principio: “li uso, li giudico, li miglioro”;

in terzo luogo, la promozione di un’identità di quartiere, in collaborazione con le circoscrizioni e anche attraverso questionari e interviste mirate, al fine di mettere in evidenza e di risolvere i problemi più sentiti dal territorio. E’ un modo per dare omogeneità allo spazio urbano e spingere i cittadini a conoscersi meglio;

in quarto luogo, l’avvio di una stagione di urbanistica partecipata, ben organizzata e non demagogica, né populista, né funzionale all’intercettazione del consenso: una modalità – nel nostro territorio nuova – di decidere con i cittadini l’idea della città futura.

Balzani ha concluso affermando che le sue proposte non intendono certo svalutare il ruolo degli organi elettivi, quali consiglio comunale , circoscrizioni e quartiere, ma attivare nuove e più forti modalità di coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali. Il livello della proposta sarà ovviamente correlato in termini di tempi, anche alla capacità della macchina comunale di recepire l’innovazione e ha lanciato, perciò un appello alla collaborazione da parte di tutti i dipendenti dell’ente.

In questo modo si è detto convinto di poter aprire a Forlì una nuova grande stagione di partecipazione democratica, che farà della prossima amministrazione di centrosinistra, una di quelle destinate a lasciare il segno nella città.»


«FORLI' - 6 maggio 2009 - 18.05 - Roberto Balzani, candidato sindaco del centro-sinistra, avanza le sue proposte per modificare la macchina burocratica del Comune: "Sei mesi per valutare la situazione e poi entro l'anno uso massiccio delle nuove tecnologie di internet, forum e giurie di cittadini e urbanistica partecipata": è quanto promette Balzani. Queste le proposte del candidato sindaco del Pd per cambiare il rapporto tra amministrazione e_ cittadini nel "format" di mercoledì sera.

Ecco, nel dettaglio, le proposte del candidato sindaco: "La definizione, entro l'autunno, di un piano della democrazia partecipata, che preveda le forme attraverso le quali i cittadini saranno chiamati a dare liberamente il loro contributo all'attività della giunta e del consiglio, e in secondo luogo, la creazione di percorsi on line, riservati ai cittadini utenti, per validare i servizi comunali; in terzo luogo, la promozione di un'identità di quartiere, in collaborazione con le circoscrizioni". Infine, enumera Balzani, c'è "l'avvio di una stagione di urbanistica partecipata, ben organizzata e non demagogica".»

«Il mio progetto politico è creare una democrazia partecipata moderna per dare futuro ai nostri figli. Persuasione e discontinuità della comunicazione politica per una campagna elettorale qualitativamente diversa da quella del centro destra. Essere persuasivi per i contenuti proposti, i candidati sono i terminali di questo progetto che mira alla democrazia partecipata.»







Alcune citazioni tratte da idee per un programma:
Idee programmatiche
Insieme
«Di una cosa, cara Elettrice, caro Elettore, puoi star certo: tutto quello che farò non sarà deciso fra pochi, nel chiuso di una stanza o nello studio di un professionista: sarà adottato con un processo partecipativo limpido e trasparente.»

Una nuova alleanza negli anni del cambiamento.
Programma della coalizione di centro-sinistra

«Il confronto è il nostro metodo, insieme il nostro motto. ... La verifica dei risultati, infine, viene assunta come garanzia degl’impegni nei confronti della cittadinanza. Il pubblico monitoraggio di ciò che sta avvenendo (con rapporti periodici trasferiti in rete), a livello dei progetti maggior rilievo, offre agli elettori e ai cittadini l’opportunità di rendersi conto in tempo reale delle capacità gestionali dell’amministrazione e anche della complessità dei problemi o degli ostacoli presentatisi in corso d’opera. Il bilancio partecipato costituisce un logico punto d’arrivo per questo processo, che s’intende realizzare entro il secondo esercizio di questa amministrazione.»

ASCOLTO, PARTECIPAZIONE, DECISIONE, VERIFICA, TRASPARENZA
Il cambiamento facciamolo insieme
«La democrazia partecipata è il metodo con il quale la coalizioni si propone di governare nel prossimo quinquennio la città e il territorio. Ciò non significa svilire il ruolo e lo spazio della legittima rappresentanza dei cittadini, ma incrementare la fascia delle persone coinvolte nei processi decisionali. Per raggiungere tale ambizioso obiettivo, è tuttavia necessario partire dal vertice.
Passione, competenza, spirito di servizio, capacità di fare squadra sono le caratteristiche
accomunano le donne e gli uomini della nuova coalizione. Ne fanno parte tante persone libere, disinteressate, dotate di forti principi morali e democratici, che non intendono tramutarsi in professionisti della politica, servizio al quale promettono di dedicare non più di due mandati.»

martedì 5 maggio 2009

un minuto di silenzio

Quella che segue è la "nuda cronaca" di un "fatto di cronaca" tratta dai pochi giornali che se ne sono occupati. Giornali che come al solito riportano "notizie stampa" che vengono certamente gestite e diffuse dagli "organi superiori". Giornali che dallo sterile "comunicato ufficiale" devono costruirci sopra l'evento mediatico. Giornali che invece di informare (fare in - formazione) e comunicare devono "eccitare", creare attenzione, insomma essere sulla notizia per vendere. Giornali e giornalisti che non rispettano il codice deontologico della professione ma che rispettano gli obbiettivi aziendali. C'è in questa vicenda tanto di simile a quella di Alberto (vedi il sito degli amici di Alberto). Per dovere si riporta cosa trovato in rete e in fondo una "reazione" legittima e doverosa di una presa di posizione del padre della fidanzata. In questo post non c'è nessuna intenzione di fare della demagogia ma solo di mettere in evidenza che nel nostro Paese (ancora con la P maiuscola) c'è qualcosa che non funziona nel rispetto dei diritti e della dignità umana.
  • APRILIA, SI SUICIDA LANCIANDOSI DALLA FINESTRA DURANTE LA PERQUISIZIONE ANTIDROGA

link da Latina 24ore

Sabato 18 Aprile 2009 11:50

Un uomo di 34 anni, Roberto Pregnolato impiegato presso l'azienda farmaceutica Abbott, questa mattina si è ucciso lanciandosi dal terrazzo all'ottavo piano in una palazzina in via Socrate, vicino a piazza Benedetto Croce ad Aprilia. L'uomo è morto sul colpo. Pregnolato si è ucciso davanti alla convivente forse per la vergogna dell'arresto o per la paura di poter perdere il lavoro. I controlli nella sua abitazione sono scattati nelle prime ore della mattinata dopo che i militari, la scorsa notte, lo avevano fermato in auto in compagnia di altre due persone, trovando alcuni grammi di droga. Così i militari hanno immediatamente disposto la perquisizione a casa e sul posto di lavoro. L'uomo, a quanto si è appreso, proprio nel corso dell'irruzione dei carabinieri si è improvvisamente lanciato dal balcone. La Procura ha aperto un'inchiesta coordinata dal sostituto Luigia Spinelli.

  • I carabinieri gli perquisiscono la casa, lui si getta dal balcone per la vergogna Gli avevano trovato 6 grammi di coca in auto L'uomo si è buttato dall'ottavo piano

link da >Corriere della Sera >Roma >Cronaca

Un ragazzo sorpreso con la droga in auto si è tolto la vita gettandosi dal balcone della sua casa. I carabinieri di Aprilia hanno bussato ieri mattina all’abitazione di Roberto Pregnolato, operaio incensurato di 33 anni, a seguito dei controlli effettuati in strada nella notte appena trascorsa ad opera del nucleo radiomobile. La pattuglia lo aveva fermato con la fidanzata rinvenendo nella macchina 6 grammi e mezzo di «neve».

IL GESTO - Dipendente della farmaceutica Abbot, senza precedenti penali, deve aver sofferto per la seconda perquisizione nella mansarda che divideva con la compagna. I carabinieri hanno infatti trovato un altro piccolo quantitativo di hashish e un bilancino, e lui non ha retto per la vergogna. «Roberto dove sei?», ha urlato la fidanzata: sfuggendo per un attimo agli sguardi dei militari e della donna, il ragazzo si è lanciato dall’ottavo piano del condominio di piazza Benedetto Croce rovinando al suolo. Perché una reazione così estrema? Difficile una risposta, ma il black out nella mente di Roberto è scattato, forse, per il timore di una ulteriore perquisizione sul posto di lavoro, e la paura di vedersi marchiato come cocainomane.

LE INDAGINI - Un caso delicato, che ha portato sul luogo dell’incidente il comandante provinciale dei carabinieri Roberto Boccaccio per le prime verifiche. Le indagini sono passate alla squadra mobile - una prassi quando ci sono vicende inerenti le stesse forze dell’ordine - mentre il fascicolo, su cui lavora il sostituto procuratore Luigia Spinelli, è stato secretato. Forse una notte brava è costata la vita a Roberto, operatore chimico presso la sede apriliana della multinazionale, un passato nelle giovanili della Roma, la corsa alle comunali nel 2005, intenzionato a sposare presto la sua Selvaggia, addetta al personale in un grande centro commerciale. «Ditelo che è stata una cavolata quella della droga - tengono a precisare gli amici - lui era troppo onesto, la coscienza lo ha spinto a quel gesto».

Michele Marangon 19 aprile 2009

link dal sito di Marco Cappato

Domanda:

Caro Marco
e' un altro giorno triste per noi: Roberto Pregnolato, un operaio di 33 anni di Aprilia, s'e' suicidato perche' i Carabinieri avevano fatto una persecuzione in casa sua dopo averlo fermato qualche giorno prima in possesso di 6 grammi di cocaina.
(qui l'articolo di Corriere.it)

Un altro morto ammazzato dalla regime proibizionista e dalla partitocrazia!!!!!!!

Questa vicenda non puo' non farci ricordare altre storie simili:

- quella di Bruno Bardazzi, di Prato, che nel 1992 a 21 anni si è ucciso per la vergogna di una condanna a 4 mesi, pubblicata su un quotidiano, per la detenzione di 1,7 grammi di hashish
(qui il comunicato di Marco Taradash)

- quella di Alberto Mercuriali, 20 anni di Forli', che nel luglio 2007 viene arrestato per possesso di hashish, e che pochi giorni decide d'uccidersi con il gas di scarico della propria auto
(qui il sito web Amici Di Alberto Mercuriali)

Ma quando finira' quest'assurda guerra in cui tutti escono sconfitti?
Ma questi lorsignori delle droghe, Fini Giovanardi e compagnia, non si vergognano neanche un po' d'aver le mani sporche di sangue?

Beh noi per Roberto Pregnolato, per Bruno Bardazzi, Alberto Mercuriali e tutti gli altri RESISTEREMO, RESISTEREMO, RESISTEREMO CONTRO LA PARTITOCRAZIA E NON CI ARRENDEREMO MAI!

Risposta:

Sono davvero le morti più assurde, assieme a quelle dei poliziotti che muoiono in operazioni antidroga...


link da Studio 93 il 20 aprile 2009

T.M. di 36 anni e C.A. di 31, sono accusati di detenzione illecita di sostanze stupefacenti. Erano in auto con Roberto Pregnolato al momento del fermo.

Quando sabato notte Roberto Pregnolato, il 33enne di Aprilia che si è gettato dal terrazzo del suo appartamento all’ottavo piano in via Socrate, è stato fermato dai carabinieri non era solo. In macchina con lui, sulla Pontina, c’erano due amici: di 36 e 31 anni. Entrambi sabato pomeriggio sono stati denunciati per concorso in detenzione illecita di sostanze stupefacenti. I due avevano tentato di gettare i 6 grammi e mezzo di cocaina dal finestrino dell’auto per sfuggire al controllo dei militari. I carabinieri li hanno notati e hanno proceduto alla perquisizione personale per poi spostarsi in casa di Roberto Pregnolato. I carabinieri subito dopo la tragedia hanno ascoltato la compagna della vittima, i familiari e alcuni amici. La Procura di Latina ha aperto un’inchiesta. Oggi verrà eseguita l’autopsia.


Aprilia

link da IL TEMPO 20 aprile 2009

Un 36enne e un 31enne accusati di detenzione illecita di coca

La notte del fermo Roberto Pregnolato, il 33enne di Aprilia che si è suicidato sabato mattina gettandosi dal terrazzo di casa, in via Socrate, non era solo.

Quando i carabinieri di Aprilia, nella notte tra venerdì e sabato, attorno alle 4, hanno fermato sulla Pontina il giovane a bordo di un'auto, era in compagnia di altri due amici: T.M., 36 anni, e C.A., di 31, di Aprilia. Entrambi sono stati ora denunciati per concorso in detenzione illecita di sostanze stupefacenti. I tre erano stati infatti trovati in possesso di 6,5 grammi di cocaina divisi in 11 involucri di cellophane, le dosi pronte per essere spacciate. Avevano tentato di disfarsi della droga poco prima di fermarsi al posto di blocco degli uomini del maggiore Luca Nuzzo. I militari li avevano però visti fare la manovra sospetta e li avevano bloccati. In casa di Roberto Pregnolato erano stati poi trovati anche un bilancino di precisione e pochi grammi di hascisc. Proprio in quel momento, mentre i carabinieri perquisivano l'abitazione il giovane potrebbe aver avuto un attacco di panico, e si è lasciato andare in una reazione disperata: il lancio dal terrazzo, da un'altezza di oltre 25 metri. Gli inquirenti subito dopo hanno ascoltato la fidanzata del 33enne testimone della tragedia, poi i familiari e molti amici. Sabato pomeriggio, infine, la decisione di denunciare anche i due amici della vittima. Il pm Luigia Spinelli ha intanto dato mandato per l'esecuzione dell'autopsia che si terrà oggi.

Raffella Patricelli

20/04/2009


link da Studio 93

Il 33enne, sabato scorso, alle prime luci dell’alba, durante una perquisizione in casa dei Carabinieri, è fuggito nel balcone e si è improvvisamente lanciato nel vuoto.
Mentre ancora in molti non sanno dare un perché al suo disperato gesto, domani mattina, ad Aprilia, si celebreranno i funerali di Roberto Pregnolato, il 33enne che sabato scorso, alle prime luci dell’alba, durante una perquisizione in casa dei Carabinieri, è fuggito nel balcone e si è improvvisamente lanciato nel vuoto, precipitando da un’altezza di 25 metri. Domani mattina alle 10.30, presso la Chiesa San Pietro in Formis, a Campoverde, si terrà la messa funebre, officiata da Don Francesco Bruschini. Il 33enne apriliano, sabato notte era stato fermato in strada dai Carabinieri e trovato in possesso di alcune dosi di cocaina. Quando si è reso conto della gravità della situazione, probabilmente, si è visto crollare il mondo addosso ed ha messo in atto il terribile copione. Per chiarire ogni dubbio, oggi, presso l’obitorio di Latina, è stata eseguita anche l’autopsia sul corpo del giovane, Gli esami, oltre a rilevare i terribili traumi riportati nella caduta dall’ottavo piano della palazzina, potrebbero chiarire altri aspetti di questa drammatica vicenda, sulla quale stanno ancora cercando di fare luce gli uomini del Commissariato di Cisterna.

da IL TEMPO del 22 aprile 2009

Pregnolato, chiuse le indagini: è suicidio

Raffaella Patricelli APRILIA La polizia di Cisterna ha chiuso le indagini sulla morte di Roberto Pregnolato, il 33enne di Aprilia che sabato scorso all'alba si è gettato dal balcone della sua abitazione in via Socrate durante una perquisizione in casa dei carabinieri.

Le indagini, svolte in presenza del magistrato Luigia Spinelli e coordinate dal dottor Edoardo Menghi, hanno chiarito la dinamica di quanto accaduto in casa della vittima anche grazie alla testimonianza della fidanzata. Si è trattato di un suicidio, una decisione maturata da Roberto Pregnolato in pochi istanti mentre davanti a sé aveva la compagna di una vita e i tre carabinieri che nella notte l'avevano fermato sulla Pontina in compagnia di due amici con 6,5 grammi di cocaina. Si attendono i risultati dell'autopsia che accerteranno o meno se il ragazzo prima di gettarsi nel vuoto avesse fatto uso di stupefacenti. Mentre le indagini sulla dinamica del suicidio sono state chiuse, quelle condotte dai carabinieri sul ritrovamento della cocaina continuano. Si cerca di fare chiarezza sulla posizione dei due amici della vittima, di 36 e 31 anni di Aprilia, sugli 11 ovuli di cocaina ben confezionati e sui presunti collegamenti su un eventuale spaccio di droga. Intanto, ieri mattina alle 10:30 presso la chiesa di San Pietro in Formis sono stati celebrati i funerali. La chiesa era gremita, la cerimonia è stata officiata dal parroco don Francesco Bruschini.
22/04/2009

  • IL FOGLIO 27 aprile 2009 articolo del tipo "taglio basso"




















Roberto Pregnolato, 33 anni. Di Aprilia in provincia di Latina, dipendente della Abbot, un passato nelle giovanili della Roma, intenzionato a sposare presto la sua Selvaggia, impiegata in un centro commerciale, verso le 4 di notte viaggiava in auto con la fidanzata quando fu fermato dai carabinieri che gli trovarono in macchina 6 grammi di cocaina. Subito dopo i militari accompagnarono i due nella loro mansarda dove trovarono hashish e un bilancino, a un certo punto, mentre quelli continuavano a frugare, il Pregnolato disse che andava in bagno a fare la pipì e invece uscì in balcone e si buttò di sotto. Volo di otto piani e 25 metri.
Nottata tra venerdì 17 e sabato 18 aprile in un condominio in piazza Benedetto Croce ad Aprilia.

"La pattuglia lo aveva fermato con la fidanzata rinvenendo nella macchina 6 grammi e mezzo di «neve»."

Chi vi scrive è il padre della fidanzata ed esigo una immediata smentita di quanto sopra sulla presenza di mia figlia al momento del fermo in quanto è falso (la stessa in quel momento stava a casa).

Inoltre vorrei riuscire a capire fin dove arriva il diritto di cronaca e dove inizia il diritto alla privacy...ovvero che relazioni ci sono tra un fatto così triste, ancora tutto da chiarire, ed i nomi con le relative attività lavorative...ma comunque di questo sicuramente ne parleremo in altra sede.

Sono sempre il padre della fidanzata e chiarisco che non mi sono firmato per il mio diritto alla privacy e soprattutto per quello di mia figlia...anche perchè sono certo che la redazione sa come rintracciarmi.

La sinistra invertebrata

Troppo deboli, moderati, pronti a scendere a compromessi. Il Pci e i suoi eredi hanno perso contatto con la società. E hanno dilapidato un’eredità politica straordinaria, scrive lo storico inglese Perry Anderson. Da Internazionale del 1 maggio 2009

La copertina di Internazionale dedicata alla sinistra invertebrata

La sinistra italiana era una volta il più grande e impressionante movimento popolare per il cambiamento sociale in Europa occidentale. Comprendeva due partiti di massa, il Pci e il Psi, ognuno con la propria storia e cultura, impegnati non a migliorare, ma a rovesciare il capitalismo.
L’alleanza del dopoguerra tra socialisti e comunisti, però, non sopravvisse al boom degli anni cinquanta. Nel 1963 Pietro Nenni portò per la prima volta il Psi al governo, come alleato della Democrazia cristiana, imboccando la strada che avrebbe condotto a Bettino Craxi e lasciando ai comunisti la guida dell’opposizione al regime democristiano.
Fin dall’inizio il Pci era stato il più forte dei due partiti, sia dal punto di vista organizzativo sia da quello ideologico. Prima di tutto aveva una base più ampia: a metà degli anni cinquanta contava più di due milioni di iscritti, che andavano dai contadini del sud agli operai delle industrie del nord passando per gli artigiani e gli insegnanti del centro Italia.
Il suo punto di riferimento teorico erano i Quaderni del carcere di Antonio Gramsci, pubblicati per la prima volta tra il 1948 e il 1951. All’apice della sua potenza, il Pci era in grado di attingere a una straordinaria gamma di energie morali e sociali: poteva contare sia sulle sue profonde radici popolari sia sull’appoggio degli intellettuali, più di qualsiasi altra forza politica del paese.
La grande influenza che il Pci esercitava nel mondo del pensiero e dell’arte dipendeva anche dalla sua capacità di assimilare e riproporre il filone dominante della cultura italiana: l’idealismo. Questa corrente aveva trovato la sua espressione più alta, anche se non l’unica, nella filosofia di Benedetto Croce, che nella vita culturale italiana aveva assunto un ruolo simile a quello avuto da Goethe in Germania.
Lo storicismo di Croce, anche grazie all’attenzione che gli aveva riservato Gramsci negli anni della prigionia, diventò il nutrimento naturale di gran parte della cultura italiana del dopoguerra. Dietro a quella corrente di pensiero, però, si nascondevano tradizioni filosofiche molto più antiche, secondo cui in politica il primato spettava al regno delle idee, concepito come volontà o intelletto.

La lotta per l’egemonia
Tra la caduta dell’impero romano e la fine del risorgimento, l’Italia non aveva mai conosciuto un governo o un’aristocrazia nazionale, ed era stata quasi sempre in balìa di potenze straniere in conflitto tra loro.
A lungo le sue élite avevano avvertito il peso schiacciante del divario tra il passato glorioso del paese e il suo triste presente. A partire da Dante, gli intellettuali si erano sentiti in dovere di riscoprire e trasmettere la cultura dell’antichità classica, convinti che l’Italia potesse risorgere solo grazie alle idee mutuate dalla sua storia e dalla sua tradizione. La cultura non era distinta dalla politica: era il passaporto per arrivare al potere.
Il comunismo italiano aveva ereditato questo atteggiamento mentale e lo aveva rimodellato secondo gli insegnamenti di Gramsci. Nella sua dottrina “l’egemonia” era una supremazia culturale e morale da conquistare con il consenso della società civile.
Vero cardine della società, l’egemonia avrebbe garantito la pacifica conquista del controllo dello stato. Secondo questa interpretazione, l’autorevolezza che il partito aveva conquistato nell’arena intellettuale era il primo passo verso la vittoria politica finale. In realtà questa non era affatto la visione di Gramsci.
Da rivoluzionario e membro della Terza internazionale, il filosofo sardo riteneva essenziale ottenere il massimo consenso popolare per rovesciare l’ordine costituito, ma non aveva mai pensato che il capitalismo potesse essere abbattuto senza la forza delle armi.
Il punto era che l’idea del primato dell’egemonia si adattava molto bene alla cultura di stampo idealista. Gli intellettuali legati al Pci, inoltre, conservavano i pregiudizi delle élite tradizionali, i cui campi di ricerca preferiti erano tutti umanistici: la filosofia, la storia e la letteratura.
Le discipline più moderne come l’economia e la sociologia, e i loro metodi presi in prestito dalle scienze naturali, erano estranei agli interessi del partito. Il Pci aveva una straordinaria influenza sui vertici delle gerarchie culturali, ma ai livelli più bassi mostrava una debolezza preoccupante, che in futuro avrebbe avuto gravi conseguenze.

Masse ed élite
Il partito fu colto di sorpresa dai due grandi cambiamenti del dopoguerra in Italia. Il primo fu la diffusione della cultura di massa, un fenomeno inimmaginabile nel mondo in cui erano cresciuti Togliatti o Gramsci.
Anche nel momento della sua massima espansione, il tentativo del Pci – e più in generale della sinistra – di allargare la propria influenza culturale ha sempre incontrato diversi ostacoli. La religione, infatti, aveva ancora un ruolo chiave nell’immaginario e nelle convinzioni degli italiani.
Nelle università, nelle case editrici, negli studi degli artisti e nelle redazioni delle riviste l’influenza del partito era molto diffusa, e ben distinta da quella dell’establishment borghese liberale sulla stampa quotidiana. Ma in Italia è sempre esistito un gran numero di giornali e programmi televisivi confezionati in base ai gusti degli elettori della Democrazia cristiana di cultura medio-bassa.
Dall’alto della sua cultura elitaria, il Pci guardava a questo universo con condiscendenza, considerandolo l’eredità di un passato clericale sulla cui importanza Gramsci si era soffermato a lungo. Non si rendeva conto, però, che tutto questo era una minaccia per il suo potere.
Il fatto che la cultura di massa fosse completamente laica e americanizzata era un altro discorso. L’apparato del partito e l’intellighenzia che gli si era formata intorno furono colti di sorpresa e rimasero spiazzati.
Anche se la critica italiana si era già occupata della letteratura popolare (Umberto Eco era stato uno dei pionieri in materia), il Pci non riuscì a inserirsi in questo filone. Non ci fu nessuna dialettica creativa in grado di resistere all’offensiva del nuovo e di modificare i rapporti tra cultura alta e cultura bassa.
Il caso del cinema, un campo in cui nel dopoguerra l’Italia aveva dato prova di eccellenza, è emblematico. I grandi registi come Roberto Rossellini, Luchino Visconti o Michelangelo Antonioni avevano debuttato tra la fine degli anni quaranta e i primi cinquanta e le loro ultime opere importanti risalgono all’inizio degli anni sessanta.
Ma quella generazione non ebbe eredi alla sua altezza. Negli anni sessanta in Italia mancò quell’esplosivo incrocio tra avanguardia e forme popolari che in Francia e in Germania produsse le opere di Jean-Luc Godard e Reiner Werner Fassbinder. Più tardi ci sarebbe stato solo il debole contributo di Nanni Moretti.
E così il profondo divario di sensibilità che si era creato tra le classi colte e quelle popolari ha reso il paese indifeso di fronte alla controrivoluzione dell’impero televisivo di Berlusconi. La sua tv ha nutrito l’immaginario popolare con un mucchio di idiozie e invenzioni volgari. Non sapendo come affrontare questi cambiamenti, per una decina d’anni il Pci ha cercato di resistergli.
L’ultimo vero leader del partito, Enrico Berlinguer, ha incarnato l’austerità e il disprezzo per l’autoindulgenza e l’infantilismo del nuovo mondo dei consumi materiali e culturali. Dopo la sua morte, il passaggio dal rifiuto intransigente di quei valori all’entusiastica capitolazione politica e culturale è stato brevissimo.
E Walter Veltroni ha finito con il somigliare sempre di più alle figurine sorridenti degli album che aveva distribuito con l’Unità quando era direttore del giornale.

Giovani e operaisti
Se l’idealismo non aveva permesso al Pci di cogliere la spinta al materialismo che aveva trasformato il modo di divertirsi degli italiani, la stessa scarsa lungimiranza dal punto di vista economico e sociologico gli impedì di accorgersi dei cambiamenti in corso nel mondo del lavoro.
Già alla fine degli anni sessanta il partito prestava meno attenzione a questi fenomeni di quanto stava facendo una nuova leva di giovani radicali, che avrebbero prodotto quel fenomeno tutto italiano che è stato l’operaismo, una delle più singolari avventure intellettuali della sinistra europea di quegli anni.
A differenza del Pci, nel dopoguerra il Partito socialista aveva esplorato con una figura di spicco come Rodolfo Morandi un marxismo poco idealistico e più attento invece alle strutture dell’industria italiana.
Morandi trovò un valido successore in Raniero Panzieri, un militante socialista che dopo essersi trasferito a Torino aveva cominciato a indagare sulle condizioni di lavoro degli operai della Fiat, raccogliendo intorno a sé un gruppo di giovani intellettuali, che spesso (come Antonio Negri) provenivano dalle organizzazioni giovanili socialiste.
Negli anni sessanta l’operaismo diventò un movimento multiforme e diede vita a una serie di riviste importanti, anche se dalla vita breve, come Quaderni rossi, Classe operaia, Gatto selvaggio e Contropiano, che esploravano le trasformazioni in atto nel mondo del lavoro e del capitalismo industriale italiano.
Il Pci non aveva iniziative paragonabili e prestava poca attenzione a questo fermento, anche se il più influente dei nuovi teorici era un giovane comunista romano, Mario Tronti. L’operaismo era una corrente estranea al partito, e per di più dichiaratamente ostile a Gramsci, accusato di spiritualismo e populismo.
Il forte impatto che ebbe l’operaismo non fu dovuto solo alle inchieste e alle idee dei suoi teorici, ma anche alla loro capacità di cogliere l’irrequietezza della nuova classe operaia. I giovani immigrati del sud si ribellavano ai bassi salari e alle condizioni opprimenti delle fabbriche del nord ricorrendo a insolite forme di lotta, che lasciavano sconcertati i sindacati tradizionali.
Aver saputo anticipare queste nuove mobilitazioni diede all’operaismo una grande forza intellettuale, ma allo stesso tempo lo fece rimanere immobile sulle sue intuizioni originarie. Il risultato fu l’idealizzazione della rivolta proletaria.
Dopo essersi resi conto che l’industria italiana stava di nuovo cambiando e che nelle fabbriche la militanza era in crisi, alla metà degli anni settanta Negri e molti altri tornarono a vedere nella figura del “lavoratore sociale” – in pratica chiunque fosse occupato, o sottoccupato, dal capitale – il protagonista della rivoluzione immanente.
L’astrattezza di questo concetto era un segnale della disperazione e della visione apocalittica che alla fine degli anni settanta avrebbero portato quest’ala dell’operaismo in un vicolo cieco.
Oltre a non aver capito la portata dei mutamenti degli anni sessanta, il Pci non aveva imparato nulla dai suoi errori e non fu capace di produrre nulla di interessante in termini di sociologia industriale. Fu così che negli anni ottanta, mentre l’economia italiana attraversava altri cambiamenti cruciali, con la nascita delle piccole imprese e del sommerso (il secondo “miracolo italiano”, come fu ottimisticamente definito all’epoca) il Pci si ritrovò di nuovo impreparato.
E questa volta il colpo fu fatale: il partito perse infatti il suo ruolo di rappresentante politico della classe operaia. Negli anni novanta la sinistra ha subìto altre due pesanti sconfitte: il trionfo di Forza Italia ha sottolineato l’incapacità di reagire alla massificazione della cultura popolare, e il successo della Lega nord ha rivelato l’incapacità di rispondere tempestivamente alla frammentazione del mondo del lavoro postmoderno.
Questi errori sono stati causati da una mentalità che aveva radici più profonde del marxismo e una visione tradizionale dei valori culturali, a suo modo apprezzabile nonostante i suoi limiti. Questo idealismo, però, aveva anche un aspetto negativo che era tipico del comunismo italiano: una sorta di riflesso strategico che non era mai cambiato dai tempi della liberazione, un’eredità le cui conseguenze si avvertono ancora oggi.

La svolta di Salerno

Nel 1944, di ritorno da Mosca, Togliatti fece subito capire che un’insurrezione non era nei piani del partito. Dopo vent’anni di esilio e repressione, il compito del Pci era costruire un partito di massa e guadagnarsi un ruolo centrale nelle nuove istituzione democratiche del paese.
Togliatti, però, si spinse ancora più in là. Nell’estate del 1943, quando gli alleati sbarcarono in Sicilia, la monarchia italiana chiese le dimissioni di Mussolini, che il 25 luglio fu sfiduciato dal Gran consiglio del fascismo. Poco dopo il re fuggì al sud con il maresciallo Badoglio, che fu messo a capo del governo dagli Alleati.
Il nord era invece sotto il controllo del regime di Salò, guidato da Mussolini. Quando la guerra finì l’Italia non fu trattata come una potenza sconfitta, alla stregua della Germania, ma come una nazione “cobelligerante” .
Una volta partite le truppe alleate, il governo di coalizione (che comprendeva il Partito d’azione, i socialisti, i comunisti e i democristiani) si trovò ad affrontare l’eredità del fascismo e della monarchia, che aveva collaborato a lungo con Mussolini. I democristiani sapevano che i loro potenziali elettori erano ancora fedeli alla monarchia, ed erano perciò decisi a impedire che in Italia si verificasse un fenomeno simile alla “denazificazione” tedesca. Ma erano in minoranza rispetto ai partiti di sinistra.
A questo punto il Pci decise di non mettere alle corde la Dc. Non chiese l’epurazione, che avrebbe significato la rimozione di tutti i funzionari vicini al fascismo nella burocrazia, nella magistratura, nell’esercito e nella polizia, e lasciò alla Dc la guida del governo, senza fare nulla per smantellare l’apparato di potere creato da Mussolini.
Fu così che il Partito fascista, rinato con il nome di Movimento sociale italiano, tornò presto in parlamento. E quarant’anni dopo la vedova di Togliatti partecipò ai funerali del leader dell’Msi Giorgio Almirante. Oggi Gianfranco Fini, erede di Almirante, è il presidente della camera dei deputati ed è il probabile successore di Berlusconi alla presidenza del consiglio.

L’eredità sovietica

Al di là degli evidenti errori di questa traiettoria politica, quello che si può rimproverare al Pci è la sua inerzia autodistruttiva. Il partito aveva già edulcorato il concetto gramsciano di egemonia, riducendolo alla ricerca del consenso e confinandolo alla società civile.
Allo stesso modo, sotto la guida di Togliatti aveva ridotto la sua strategia politica a una semplice guerra di posizione. I comunisti italiani cercarono per anni di influenzare la società civile, come se ormai in occidente non fosse più necessaria una guerra di manovra, con le sue imboscate, le sue cariche improvvise, i suoi rapidi attacchi e i tentativi di cogliere di sorpresa i nemici di classe o lo stato. Tra il 1946 e il 1947 De Gasperi e i suoi colleghi non fecero lo stesso errore.
Nel 1948 lo slancio popolare innescato dalla Liberazione si era già esaurito. L’inizio della guerra fredda portò alla sconfitta elettorale della sinistra, e ci vollero vent’anni prima che in Italia ci fosse una nuova ondata di mobilitazioni politiche. La rivolta generazionale della fine degli anni sessanta, che coinvolgeva studenti e lavoratori, fu più profonda e durò più a lungo che nel resto d’Europa.
Sotto la guida del successore di Togliatti, Luigi Longo, più agguerrito e meno diplomatico, il Pci non reagì negativamente alla rivolta giovanile come fece invece il Partito comunista francese. Ma non fu nemmeno capace di rispondere in modo creativo, non riuscendo né a entrare in contatto con una cultura in cui i classici del passato bolscevico e gli slogan scritti sui muri si integravano in modo dinamico, né a rinnovare il suo bagaglio ideologico e teorico.
Quando all’interno del Pci emerse un gruppo brillante e critico verso l’inerzia del partito, i dirigenti non esitarono a espellerlo. Nel 1969 questo gruppo di militanti, che aveva una visione genuinamente gramsciana e una maggiore intelligenza politica rispetto agli operaisti, fondò Il manifesto.
La scomunica avvenne dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia, che Il manifesto condannò senza riserve. Oltre che nel suo innato idealismo, proprio in questa decisione va cercato il secondo motivo della paralisi strategica del comunismo italiano.
Flessibile sotto certi aspetti, il Pci è sempre rimasto stalinista sia nella sua struttura interna sia nel legame con il regime sovietico. Convinta che la Dc non fosse capace di esercitare un’egemonia assoluta, la destra del Pci ha spesso lodato la moderazione del partito in politica interna, criticando invece i legami con l’Unione Sovietica e la rigidità organizzativa. In realtà le due cose erano strutturalmente collegate.
A partire dalla svolta di Salerno del 1944, la moderazione servì al partito come contrappeso ai suoi rapporti con Mosca. Esposto alle accuse di avere troppe affinità con l’Unione Sovietica, il Pci doveva dimostrare che non aveva nessuna tentazione di emulare il modello bolscevico.
Il peso di queste accuse alimentava la ricerca di una rispettabilità politica che compensasse le colpe presunte. Il rappresentante più in vista della destra del partito, Giorgio Amendola, incarnava perfettamente questo dualismo: denunciava il rischio di un’eccessiva tolleranza nei confronti delle rivolte giovanili ma andava regolarmente in vacanza in Bulgaria con la famiglia.
Durante la crisi provocata dal sequestro di Aldo Moro, il Pci dimostrò di non avere né umanità né buon senso. Fu contrario a ogni ipotesi di negoziato, con una veemenza perfino maggiore rispetto alla Democrazia cristiana, che sulla questione era molto divisa.
La Dc non mostrò nessuna gratitudine verso i comunisti. Dopo averli usati, Giulio Andreotti gli inflisse una sconfitta bruciante alle elezioni. Nel 1979 il Pci perse un milione e mezzo di voti.

Napolitano e l’immunità

Cinque anni fa, in un’amara riflessione sul suo paese, il politologo Giovanni Sartori ha osservato che Gramsci aveva ragione quando distingueva tra guerra di posizione e guerra di manovra.
I grandi leader europei come Winston Churchill e Charles de Gaulle avevano compreso la necessità di impegnarsi in guerre di manovra, mentre i politici italiani conoscevano solo la guerra di posizione. Nel suo articolo Sartori sosteneva che il titolo del famoso saggio di José Ortega y Gasset, Spagna invertebrata, si adattava benissimo all’Italia.
Nella penisola, infatti, la controriforma aveva creato una profonda assuefazione al conformismo, e le continue conquiste e invasioni straniere avevano reso gli italiani specialisti nell’arte del piegarsi per sopravvivere. Senza élite coraggiose, l’Italia era un paese privo di spina dorsale.
Sartori non parlava a caso. Si rivolgeva alla classe politica che conosceva. Quando il suo articolo è stato pubblicato, nel 2004, il Pci non esisteva più. Al potere c’era Berlusconi e il suo obiettivo era chiaro: difendere se stesso e il suo impero dalla magistratura.
Le leggi ad personam per realizzare quest’obiettivo erano già state approvate dal parlamento ed erano arrivate sulla scrivania del presidente. La presidenza della repubblica italiana non è una carica puramente onorifica. Il Quirinale non solo procede alla nomina del presidente del consiglio, che deve poi essere ratificata dal parlamento, ma può anche non approvare la nomina dei ministri e rifiutarsi di firmare le leggi.
Nel 2004 il presidente in carica era l’ex governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi, un fiore all’occhiello del centrosinistra: aveva guidato l’ultimo governo della prima repubblica ed era stato ministro dell’economia con Romano Prodi.
Imperturbabile, Ciampi ha firmato delle leggi che non solo consolidavano il controllo di Berlusconi sulla televisione, ma gli garantivano l’immunità da qualsiasi procedimento giudiziario. La sua decisione è stata contestata da centinaia di persone che si sono raccolte davanti al Quirinale.
Ma gli eredi del Partito comunista non hanno sollevato nessuna obiezione. Anzi, la prima bozza della proposta di legge sull’immunità era uscita proprio dai ranghi del centrosinistra.
Neanche la stampa ha osato mettere in discussione il presidente, che per tradizione è considerato super partes ed è trattato con la dovuta riverenza. Solo una voce si è levata contro Ciampi: quella di Sartori, un conservatore liberale, che con una buona dose di sarcasmo ha criticato il presidente per la sua mancanza di coraggio.
Oggi al Quirinale c’è l’ex comunista Giorgio Napolitano, successore di Amendola alla guida della destra del Pci, la cosiddetta ala migliorista. Quando ha assunto la carica, nel 2006, la prima legge sull’immunità era già stata dichiarata incostituzionale dalla consulta.
Presentati sotto una nuova forma, i princìpi contenuti in quel provvedimento sono stati approvati di nuovo dal parlamento. Il capogruppo postcomunista al senato ha preferito non fare opposizione, spiegando che in linea di principio il Partito democratico non aveva obiezioni, anche se riteneva che la legge sarebbe dovuta entrare in vigore nella legislatura successiva.
Napolitano non aveva tempo da perdere con simili questioni di principio e ha firmato il provvedimento il giorno stesso in cui è arrivato sul suo tavolo. Ancora una volta, le uniche voci che si sono levate a denunciare questa vergogna sono state quelle di intellettuali liberali o apolitici, come Sartori e un gruppetto di altri spiriti liberi, immediatamente rimproverati non solo dalla stampa vicina al Pd ma anche da Rifondazione comunista per aver mancato di rispetto al capo dello stato. Questa è la sinistra invertebrata dell’Italia di oggi.

Verso destra
La fine dell’esperienza sovietica, la disintegrazione della classe operaia tradizionale, l’indebolimento dello stato sociale, il potere sempre maggiore della televisione, il declino dei partiti: gli eventi che negli ultimi anni hanno colpito la sinistra europea sono stati molti e di grande portata.
E pochi partiti li hanno attraversati indenni. Se considerata in questa prospettiva, la fine del comunismo italiano rientra in un quadro storico più ampio, che va al di là di ogni critica. Ma nessun altro paese ha dilapidato del tutto un patrimonio così imponente.
Il partito che era stato superato in astuzia politica da De Gasperi e Andreotti, che non aveva avuto il coraggio di epurare i fascisti e di spaccare il fronte clericale, era comunque una forza con una grande vitalità. Eppure i suoi eredi sono scesi a patti con Berlusconi senza un vero motivo politico, ben sapendo chi avevano di fronte e quello che stava facendo.
Sul premier italiano esiste una ricca letteratura di denuncia, sia in Italia sia all’estero, tra cui almeno tre saggi di alto livello in inglese. Le critiche, però, non toccano mai le responsabilità del centrosinistra. La complicità dei suoi leader con il progetto berlusconiano non è un’anomalia, ma rientra in una strategia coerente.
Gli eredi del comunismo italiano hanno permesso al capo di Forza Italia di mantenere e ampliare il suo impero mediatico a dispetto della legge, non hanno fatto nulla per risolvere il conflitto d’interessi, hanno rifiutato di far arrestare il suo braccio destro e hanno cercato più volte di fare, per puro calcolo politico, una riforma elettorale con il suo partito. Alla fine, però, sono rimasti non solo a mani vuote, ma senza idee e perfino senza coscienza.
Nel frattempo le fondamenta della cattedrale della cultura di sinistra avevano già cominciato a sgretolarsi, indebolite dalla natura stessa del Pci come partito di massa.
Come in Germania, lo spostamento verso destra è cominciato con la rivalutazione della dittatura che aveva governato il paese tra le due guerre. Uno dei protagonisti di questo fenomeno è stato lo storico Renzo De Felice. Pur non avendo l’apparato concettuale e l’ampiezza di interessi di Ernst Nolte, De Felice ha scritto libri che hanno avuto un impatto assai più profondo di quelli del suo collega tedesco.
Il suo successo non si deve alla sua erudizione o al fatto che in Italia il fascismo non era mai stato screditato in modo netto, come invece era successo in Germania. La vera ragione della popolarità delle tesi di De Felice dipende dalla debolezza della cultura ufficiale a cui la sua storiografia si contrapponeva. È significativo che le critiche più radicali all’edificio costruito da De Felice sono arrivate dall’inglese Denis Mack Smith invece che da studiosi italiani di sinistra.

Religioni e politica

Il principale erede di De Felice è stato Emilio Gentile, uno storico che ha interpretato i movimenti politici di massa del novecento come versioni secolarizzate di una fede soprannaturale, dividendole in due filoni: quello totalitario, in cui ci sono fascismo, comunismo e nazionalismo, e quello democratico delle religioni civili, come il patriottismo statunitense. Questa teoria ha avuto più successo nel mondo anglosassone che in Italia.
aradossalmente, lo stesso si può dire degli ultimi frutti dell’operaismo. In Italia lo spirito dell’inchiesta operaia era scomparso con la morte prematura di Panzieri a metà degli anni sessanta, e la sua eredità si era modificata sotto i colpi di Mario Tronti e del giovane critico letterario Alberto Asor Rosa.
Tronti era convinto che fosse la classe operaia, e non il capitale, il vero demiurgo delle trasformazioni economiche: la forza che imponeva ai datori di lavoro e allo stato i cambiamenti strutturali di ogni fase dell’accumulazione.
Secondo la sua visione, il motore dello sviluppo non era nelle esigenze economiche impersonali del profitto che agiscono dall’alto, ma nella lotta di classe che preme dal basso. Asor Rosa, invece, sosteneva che la “letteratura impegnata” era un’illusione populista, perché la classe operaia non poteva ricavare nessun vantaggio dalle arti e dalle lettere di un mondo in cui la cultura era borghese per definizione.
A completare l’opera di Asor Rosa e Tronti è stato Massimo Cacciari, più giovane e intellettualmente più ambizioso dei suoi colleghi. Cacciari non solo ha separato la cultura e l’economia dalla politica rivoluzionaria, ma ha proposto una sistematica dissociazione tra tutte le sfere della vita e del pensiero moderni, in quanto domini tecnici intraducibili l’uno nell’altro.
La fisica, l’economia neoclassica, l’epistemologia canonica, la politica liberale, la divisione del lavoro, il funzionamento del mercato e l’organizzazione dello stato avevano una sola cosa in comune: erano tutti in crisi. E solo il “pensiero negativo” era in grado di cogliere la profondità di questa crisi. Prima di diventare sindaco di Venezia Cacciari è stato deputato del Pci; anche Tronti e Asor Rosa sono stati eletti in parlamento.
Il prezzo dell’integrazione in un partito che non era riuscito a prendere il potere è stata la graduale scomparsa dell’operaismo. Vent’anni dopo il suo tramonto, con il Pci ormai cancellato, Asor Rosa ha tracciato un malinconico bilancio del percorso della sinistra italiana, a cui lui e Tronti erano rimasti a loro modo fedeli.
Cacciari, invece, è oggi uno dei protagonisti della destra del Partito democratico, capace di fondere – come ben si addice a un ammiratore di Wittgenstein – misticismo e tecnicismo in una politica per certi versi molto simile a quella del New labour britannico. Nei suoi successori l’eredità intellettuale del pensiero negativo si è trasformata in un’arida cultura della specializzazione, ormai depoliticizzata.
Alla fine degli anni sessanta Toni Negri aveva preso la direzione opposta, propugnando non un patto per la modernità tra capitale e lavoro sotto l’egida del Pci, ma un’escalation del conflitto tra i lavoratori non organizzati e lo stato verso la lotta armata e la guerra civile.
Dopo l’annientamento di Autonomia operaia, il movimento di cui era stato il teorico, Negri finì in prigione con l’accusa infondata di essere stato il mandante dell’omicidio di Aldo Moro. Nel suo esilio francese ha scritto testi che hanno avuto più successo all’estero che in Italia, come Impero. Al centro delle sue riflessioni non c’è più il lavoratore sociale, ma il concetto di moltitudine.
Il recupero del fascismo a destra e la fine dell’operaismo a sinistra hanno modificato lo spazio politico del centro, in cui la versione laica e quella clericale del “giusto mezzo” avevano sempre convissuto.
La disgregazione della Democrazia cristiana non ha ridotto l’influenza della religione nella vita pubblica, ma l’ha ridistribuita su tutto l’arco politico. Gli elettori cattolici non solo si sono divisi tra centrodestra e centrosinistra, ma hanno anche dimostrato di essere il settore più volubile dell’elettorato, il vero ago della bilancia conteso dai due blocchi. Per andare a caccia del voto cattolico, gli ex leader del Pci hanno mostrato una sensibilità religiosa sconosciuta fino a poco tempo fa.
Quello che la chiesa ha perso con la fine di un partito di massa obbediente ai suoi ordini, lo ha guadagnato conquistandosi un’influenza più pervasiva, anche se meno evidente, sull’intera società. Il risultato è stato il ritorno della superstizione religiosa.
Durante il papato di Karol Woityla sono stati nominati più beati (798) e più santi (280) che nei cinque secoli precedenti messi insieme, il numero di miracoli necessari per la santificazione è stato dimezzato, e il grottesco culto di padre Pio è arrivato al punto che sulla stampa si discute con la massima serietà del suo trionfo sulle leggi della natura.
È improbabile che una cultura laica così ossequiosa verso la fede sia più combattiva nei confronti del potere. Durante la seconda repubblica le opinioni espresse sui principali mezzi d’informazione italiani non si sono allontanate quasi mai dalla via maestra neoliberale.
La maggior parte dei giornali somiglia ai nuovi tabloid popolari spagnoli, francesi, tedeschi, inglesi. Secondo tutti gli editorialisti l’unico rimedio per i mali del paese è una maggiore competitività nei servizi e nell’istruzione, un mercato più libero e uno stato più efficiente e snello. Opinioni del genere sono il frutto di un conformismo intellettuale universale, a cui non è sfuggita nemmeno l’Italia.

L’opposizione assente

L’atteggiamento della stampa nei confronti della legalità è un’altra questione. Dopo aver appoggiato l’offensiva della magistratura contro la corruzione nella prima repubblica, da quando Berlusconi è al potere i mezzi d’informazione si sono sempre mostrati poco coraggiosi, limitandosi a critiche perlopiù formali, senza scatenare quell’offensiva che avrebbe potuto metterlo davvero in difficoltà.
Per raggiungere quest’obiettivo la stampa avrebbe dovuto rivolgere le sue critiche non solo al premier, ma anche ai giudici che regolarmente lo assolvevano, ai capi di stato che gli avevano garantito l’immunità, e ai partiti di sinistra che l’avevano trasformato in un interlocutore accettabile, se non addirittura stimato. Ma non l’ha fatto.
In questo scenario spiccano poche eccezione. La principale è quella di Marco Travaglio. Le sue denunce del berlusconismo e del sistema di connivenze che lo ha protetto sono un caso unico nel panorama del docile giornalismo europeo di questi anni.
Come era prevedibile, Travaglio – i cui libri vendono centinaia di migliaia di copie – è un liberale di destra che si esprime con una ferocia e una libertà del tutto sconosciute alla sinistra.
A differenza che negli Stati Uniti, i mezzi di comunicazione in Europa tendono a riflettere, e non a creare, l’universo culturale, che dipende molto di più dalla situazione delle sue università. Come è noto in Italia le università sono antiquate e sottofinanziate, dominate da intrighi burocratici e dal clientelismo dei baroni. Il risultato è che i migliori cervelli del paese vanno a studiare all’estero.
Questo fenomeno riguarda tutte le discipline, come dimostra la lunga lista di studiosi italiani che hanno vissuto o lavorato a lungo negli Stati Uniti: Luca Cavalli-Sforza per la genetica, Giovanni Sartori per le scienze politiche, Franco Modigliani per l’economia, Carlo Ginzburg per la storia, Giovanni Arrighi per la sociologia, Franco Moretti per la letteratura, oltre a molti ricercatori più giovani.
Non è una diaspora nel vero senso della parola, dato che tutti hanno mantenuto contatti con l’Italia, ma è un’assenza che ha indebolito la cultura del paese.
È presto per dire se una nuova leva di studiosi di questo livello potrà nascere in Italia. A prima vista sembra poco probabile.
Tuttavia sarebbe comunque un errore sottovalutare le riserve a cui il paese può attingere. Il caso della Spagna, la cui modernizzazione è spesso considerata un modello dagli italiani che fanno autocritica, è eloquente.
Anche se con un’economia più in salute, istituzioni politiche più efficienti, meno criminalità organizzata e uno sviluppo regionale più omogeneo, la Spagna ha ancora una vita culturale provinciale e poco autonoma. Il contributo italiano alla letteratura contemporanea è molto più importante, nonostante la confusione in cui si trova il paese.
Negli ultimi anni nessun paese europeo ha prodotto un esempio di erudizione paragonabile ai cinque volumi sulla storia e la morfologia del romanzo mondiale curati da Franco Moretti per Einaudi: un’opera di una magnificenza tipicamente italiana. L’Italia, inoltre, ha ancora la grande capacità di mettere in discussione i paradigmi consolidati che arrivano dall’estero.
È il caso, per esempio, di Miti, emblemi e spie. Morfologia e storia di Carlo Ginzburg, o del saggio in cui lo storico italiano ricostruisce Georges Dumézil, cosa che nessuno studioso francese aveva mai osato fare. Altri esempi potrebbero essere l’ultimo libro del grecista Luciano Canfora, dedicato alla democrazia e censurato da un editore tedesco, o il saggio del politologo Danilo Zolo, che demolisce il concetto di “giustizia internazionale”. Una ricchezza simile non si esaurisce facilmente.

La spinta dei girotondi

Ma che fine ha fatto l’opposizione? Nell’Italia di oggi sopravvive ancora un nucleo di comunisti, né tradizionalisti né operaisti, rimasto più autenticamente gramsciano di quanto la sua leadership avesse il coraggio di essere o potesse sopportare.
Riunito intorno a Lucio Magri, Rossana Rossanda e Luciana Castellina, questo gruppo è stato espulso dal Pci nel 1969 e subito dopo ha fondato Il manifesto, l’unico quotidiano veramente radicale d’Europa. Nel corso degli anni le analisi strategiche più coerenti e incisive dei problemi della sinistra e del paese nel suo complesso sono arrivate proprio da questa corrente.
Oggi i protagonisti di quella stagione hanno cominciato a fare i conti con il passato. La ragazza del secolo scorso, il libro autobiografico di Rossana Rossanda, ha avuto un grande successo. Nel 2005, però, la Rivista del manifesto è stata costretta a chiudere, e con la crisi attuale anche il quotidiano rischia di scomparire.
Lo stesso rischio non sembra correrlo Micromega, il bimestrale curato da Paolo Flores d’Arcais, parte del gruppo editoriale l’Espresso. Con la nascita della seconda repubblica la rivista è diventata il fulcro dell’opposizione più intransigente a Berlusconi, assumendo un ruolo unico per una pubblicazione non certo di massa.
Un anno dopo la vittoria del centrodestra del 2001, è stata proprio Micromega a lanciare l’imponente ondata di proteste contro Berlusconi e la passività del centrosinistra: la cosiddetta stagione dei girotondi.
I protagonisti di quelle mobilitazioni sono stati due: Nanni Moretti e lo storico britannico Paul Ginsborg. Con i suoi film il regista romano denunciava da almeno dieci anni, anche se in modo ironico e leggero, lo sfascio del Pci e le sue conseguenze sulla società.
Ginsborg, invece, insegna all’università di Firenze ed è autore di due delle più importanti storie dell’Italia del dopoguerra. Nel volume che copre il periodo tra il 1980 e il 1996, L’Italia del tempo presente. Famiglia, società civile, Stato, Ginsborg sostiene che, accanto all’egoismo dei ceti rampanti, cresciuti durante gli anni del craxismo, in Italia esiste ancora una parte della borghesia dotata di senso civico e altruismo.
Lo storico inglese chiama questo gruppo sociale “ceto medio riflessivo” e lo considera essenziale per il rinnovamento della democrazia italiana. Accolta con un certo scetticismo, questa intuizione ha trovato conferma nel 2002, quando sono stati proprio i professionisti, i professori e i dipendenti pubblici a scendere in piazza contro Berlusconi.
La forza di quella mobilitazione era però anche il suo limite. I manifestanti organizzavano cortei davanti ai palazzi del potere. Camminavano intorno agli edifici tenendosi per mano: per questo sono stati subito ribattezzati dalla stampa “girotondini”.
In questo modo i dimostranti volevano sottolineare le loro intenzioni pacifiche, ma a qualcuno quelle mobilitazioni sono sembrate un gioco da ragazzi. I partiti di centrosinistra non gradivano le critiche, ma soprattutto temevano la concorrenza politica del nuovo movimento, e hanno fatto ben poco per nascondere la loro ostilità.
I girotondini hanno mantenuto la calma. Hanno deciso di evitare azioni violente come quelle che si erano viste al G8 di Genova, e nella vana speranza di trovare alleati tra i leader sindacali hanno rinunciato a lanciare un’offensiva più dura contro il governo e i suoi complici dell’opposizione. Logorato dalla stessa immagine che si era costruito, il movimento ha finito presto per disperdersi.
Quando l’estate scorsa, facendo infuriare Veltroni, Micromega ha lanciato l’invito per una nuova manifestazione a piazza Navona contro il ritorno al potere di Berlusconi, le contraddizioni dei girotondini sono esplose.
Moretti e altri presenti sul palco si sono dissociati dagli interventi più radicali, che questa volta non risparmiavano critiche neanche a Napolitano, al Pd e a Rifondazione comunista.
Proprio come l’incomprensibile linguaggio politico della prima repubblica aveva prodotto per reazione la calcolata volgarità della Lega nord, questa volta la bonaria retorica dei girotondini ha innescato il suo opposto: un’esibizione eccessiva e roboante di alcuni comici notoriamente critici verso l’intera classe politica, che ha imbarazzato molti manifestanti, ma che a giudicare dai sondaggi non è dispiaciuta alla maggioranza degli elettori di centrosinistra.
Dal punto di vista politico, questo episodio potrebbe essere visto come l’ennesimo riflesso del conflitto vissuto dalla sinistra negli anni settanta, in cui la moderazione della leadership provocava esplosioni di rabbia dal basso.
Nell’autunno del 2008 queste tensioni sono sfociate nelle proteste studentesche contro i tagli di bilancio per l’istruzione e la riduzione delle ore di insegnamento decisi dal governo di centrodestra, e nelle mobilitazioni dei sindacati, molto più modeste, contro la risposta di palazzo Chigi alla crisi globale.
La concessioni ottenute sono state meno importanti rispetto all’ampiezza della mobilitazione stessa. Ma lo schema secondo cui a una ritirata strategica di Berlusconi corrispondono temporanei scoppi di rabbia popolare contro il suo governo non è nuovo. Con l’economia in crisi, però, oggi non è facile prevedere come andranno le cose.
Dopo essersi lasciata alle spalle il minaccioso simbolo della falce e martello, la sinistra italiana ha adottato una serie di altri simboli presi in prestito dal regno vegetale e da quello celeste: la rosa, la quercia, l’ulivo, la margherita, l’arcobaleno. Ma senza più il vecchio bagliore del metallo, difficilmente riuscirà a fare molta strada.

PERRY ANDERSON è uno storico britannico. È stato tra i fondatori della New Left Review. Insegna storia e sociologia all’università della California di Los Angeles (Ucla). Quest’articolo è un estratto del saggio pubblicato sulla London Review of Books e farà parte del nuovo libro di Anderson, The new-old world, in uscita a settembre per Verso Books.

da sapere

1921 Nasce il Partito comunista italiano
1924 Antonio Gramsci viene eletto segretario
1930 Palmiro Togliatti segretario
1964 Luigi Longo segretario
1972 Enrico Berlinguer segretario
1976 Alle elezioni il Pci ha il 34 per cento dei voti. È il suo massimo storico
1984 Morte di Berlinguer
1988 Elezione di Achille Occhetto alla segreteria
1989 Caduta del Muro di Berlino
1991 Scioglimento del Pci e nascita del Partito democratico di sinistra
1994 Massimo D’Alema diventa segretario del Pds
1996 Alle elezioni il Pds è il primo partito italiano. Primo governo Prodi
1998 Nascita dei Democratici di sinistra. Walter Veltroni segretario. Primo governo D’Alema
1999 Secondo governo D’Alema
2000 Governo Amato
2001 Piero Fassino è segretario dei Ds
2006 Secondo governo Prodi
2007 Nasce il Partito democratico. Veltroni segretario
2009 Dario Franceschini segretario