sabato 31 dicembre 2016

Degli usi, e pregiudizj nel fine dell' anno e del capo d'anno

Degli usi, e pregiudizj nel fine dell' anno.
Le donne, massimamente le più vecchie, si guardano dal lasciare per tale giorno imperfetto un lavoro già intrapreso.
Del capo d'anno; ed usi, e pregiudizj relativi al primo giorno dell’anno.
1. Anco fra contadini, come nella città, si usa il dare il buon capo d’anno: questo augurio si costuma solo fra gli anziani ed i capi delle ville, incontrandosi i quali fra loro, dicono: « bon dè, bon ann »;e  rispondendosi a vicenda « Dì ù ze conzeda: » cioè, buon giorno, buon anno: Dio ce lo conceda.
2. Sono vigilanti li contadini tanto uomini , che donne nel sortire di casa nel primo giorno dell’anno
a rimarcare il soggetto, che incontrano per il primo, desumendo da tale incontro un preludio o fausto, o funesto per le vicende dell’anno intero.
3. Se incontrano un povero, è un augurio cattivo.
4. Se incontrano un benestante, e dabbene, presagisce un buon anno.
5. Incontrandosi in un vecchio indica morte di qualcuno  della famiglia entro l’anno; quale presagio si ha incontrandosi in un prete da uomini, fanciulli, o donne maritate.
6. All’opposto, se una giovine nubile, od una vedova s’incontra in un prete, è segno, che in quell’anno deve unirsi in matrimonio.
7. In detto primo giorno dell’anno dicono i contadini, che bisogna fare un poco di tutti i lavori, i quali sogliono fare in tutto l'anno; perchè cosl vanno a riuscire tutti bene.
 

[tratto da "CAPITOLO VIII. Degli usi, e pregiudizj nel fine dell' anno."; "TITOLO V. DEGLI USI E PREGIUDIZI RELATIVI A CERTE EPOCHE PRINCIPALI DELL' ANNO. CAPITOLO l.",  in USI, E PREGIUDIZJ DE' CONTADINI DELLA ROMAGNA - OPERETTA SERIO-FACETA DI PLACUCCI MICHELE DI FORLI’ Aggiunto al Segretario, e Capo Speditore presso la suddetta Comune DEDICATA ALLI SIGNORI ASSOCIATI MDCCCXVIII.]

venerdì 30 dicembre 2016

Le male femmine

Quando San Pietro viveva fra gli uomini un giorno si dipartì da Forlì con un cesto ricolmo di male femmine cui doveva donar loco. 
Risalì la val di Montone: e il cesto pesava grave come il peccato. Il Santo faceva fatica grande. 
Ed ecco che cominciò per suo sollievo a disseminar qualche pizzico delle malnate a Terra del Sole. Poi dovette continuare con qualche manciatella a Castrocaro. 
Ma andando passo dietro passo, vieppiù la strda si faceva erta e più aumentava il pondo del cesto. 
E così più si faceva sentir forte la fatica. 
Il Santo giunse a Dovadola che se ne stava schiantato. Tanto che a Dovadola ribaltò deciso il cesto e vi dette anzi, dal fondo rovesciato, un colpo della mano, che niuna donna vi rimanesse dimenticata, come l'inutile festuca.
E' così che a Dovadola è rimasto loco dove le puttane sono molte; che d'incontro, più su, a Rocca, puttane non ce ne sono punte, se è vero, come è vero, che San Pietro vi giunse, proseguendo per l'erta valle, col cesto svuotato. 
Paese di brava gente, Rocca! 
 [Livio Carloni, alias Luciano De Nardis, "A la garboja", La piè, 20 (1951): 157:159]

mercoledì 21 dicembre 2016

L'origine del romagnolo

Ui era San Pietre e e Signor che j andeva in gir e j arivè in Rumagna.
Quand S. Pietre e vest se bel paies e ch l era spuplè l ha cmenz a mett ‘t la testa ma e Signor chi vleva fe e rumagnol.
E e Signor ui geve: Arcordat ben che i ven cattiv, ch i biastemma.
E ‘lora San Pietre un e vuleva cred.
E e Signor e da un chelz ‘t na castagna ad sumar e e selta so e rumagnol cun e su caplen int l’ureccia e e dis: Oh boja de Signor a so i qua. – T l’ èvi dett cimm l’andèva a finì Pietre ?


(dialetto rminese – tratto da “saggio di novelle e fiebe in dialetto romagnolo di G. G. Bagli – Bologna 1887)

sabato 3 settembre 2016

I terremoti storici in Romagna


Cartolina di Santa Sofia terremoto del novembre 1918
Nella notte tra il 19 e il 20 ottobre 1768, attorno alla mezzanotte ora locale (cioè attorno alle 23 GMT, l’ora riportata per convenzione nei cataloghi sismici), due forti scosse di terremoto colpirono l’Appennino tosco-romagnolo, causando gravi danni nell’alta valle del fiume Bidente. Una decina di centri, tra cui Santa Sofia (oggi in provincia di Forlì-Cesena), subirono estese distruzioni, con effetti che sono stati valutati attorno al grado 9 della scala MCS (Mercalli-Cancani-Sieberg); poco meno di una ventina di altri paesi, tra villaggi e borghi, subirono danni gravi e diffusi, con effetti superiori al grado 7 MCS (Guidoboni et al. 2007).

La prima scossa danneggiò notevolmente Santa Sofia, dove crollarono edifici fatiscenti e mal costruiti, soprattutto case rurali. Dopo alcuni minuti avvenne la scossa più forte, che causò le distruzioni maggiori. Seguirono nella stessa notte altre scosse minori che causarono ulteriori danni a Santa Sofia e dintorni.

Galeata (FC): epigrafe murata sulla facciata
della Pieve di San Pietro in Bosco,
in cui è ricordato il terremoto che colpì
la cittadina nel 1194 [foto di Romano Camassi – Ingv-Bologna].
La zona colpita dal terremoto, nel cuore dell’Appennino romagnolo, all’epoca era un’area di notevole importanza strategica per la viabilità ed era attraversata dal confine tra due importanti Stati politicamente e amministrativamente indipendenti: il Granducato di Toscana e lo Stato della Chiesa. Il confine correva proprio lungo il fiume Bidente: il territorio sulla riva sinistra (a ovest) del fiume afferiva a Firenze e includeva Santa Sofia e Galeata; quello sulla riva destra (a est) era invece sotto il Papato e includeva, oltre alle vicine Civitella e Meldola, anche il borgo di Mortano, che all’epoca era separato da Santa Sofia (nel 1828 Mortano divenne poi Comune autonomo fino al 1923, anno in cui fu annesso a Santa Sofia). L’amministrazione comunale di Santa Sofia dipendeva dalla podesteria di Galeata, mentre Mortano faceva parte del territorio di Meldola, feudo del principe Andrea Doria Pamphilj all’interno dello Stato Pontificio.

A Santa Sofia crollarono molti edifici, compresi il castello e la rocca, e gran parte della chiesa parrocchiale di Santa Lucia; gli edifici rimasti in piedi rimasero tutti più o meno seriamente lesionati. Il campanile con l’orologio pubblico si inclinò e divenne pericolante. Ci furono gravissime distruzioni anche nell’abitato di Mortano, sulla riva destra del fiume Bidente, e nei piccoli villaggi e borghi rurali del contado, tra cui Berleta, Camposonaldo, Collina di Pondo e Spescia. Le scosse danneggiarono gravemente anche il ponte sul Bidente che univa Santa Sofia a Mortano e costituiva un importante collegamento tra il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio.

Danni gravi e diffusi si ebbero a Spinello, Cerreto, Cabelli e altri villaggi rurali, dove crollarono alcuni edifici.

La gravità degli effetti di danno fu sicuramente accentuata dalla estrema vulnerabilità dell’edilizia rurale della zona, tipica di tutta l’area appenninica, caratterizzata da case costruite per lo più in ciottoli di fiume legati con malte povere, con pareti esterne mal connesse e tetti pesanti in lastre di arenaria poggianti direttamente sulle pareti perimetrali.

A Rocca San Casciano fu seriamente danneggiato il convento dei padri Minori Osservanti Riformati, che divenne in gran parte inabitabile. Nel resto della montagna romagnola ci furono danni più leggeri in centri come Cusercoli, San Piero in Bagno, Tredozio, Galeata, Brisighella, dove alcuni edifici rimasero lesionati in modo non grave; danni lievi anche a Forlì, dove caddero diversi comignoli.

Il frontespizio di una relazione
a stampa sul terremoto all’interno
della Gazzetta Toscana, anno 1768, Tomo Terzo].
La scossa principale, quella più forte, fu avvertita fortemente e con panico, ma senza danni, a Cesena, Meldola, Portico di Romagna, Faenza. Spavento anche a Firenze, dove oltre alla scossa principale (mainshock) furono avvertite in modo più lieve anche la prima scossa e alcune repliche (aftershocks) nell’arco di 3 ore; la scossa più forte nella capitale del Granducato durò “6 battute di polso” (circa 6 secondi). Il terremoto fu avvertito a Rimini, Pesaro, Cento (in provincia di Ferrara), Padova e a Roma. La sequenza sismica durò per alcuni mesi.

Le scosse causarono anche effetti sull’ambiente naturale: nell’area epicentrale attorno a Santa Sofia furono osservati fenditure e crepacci nel terreno. Complessivamente vi furono un centinaio di vittime, di cui 54 solo a Santa Sofia e una dozzina a Mortano.

 Le due amministrazioni statali coinvolte, Firenze e Roma, risposero con ritardo alle richieste e alle suppliche da parte dei governatori e delle popolazioni locali. Il granduca di Toscana, Pietro Leopoldo, il 2 novembre inviò sul posto il “soprasindaco del magistrato dei Nove”, Giovan Battista Nelli, con l’incarico di verificare l’entità dei danni e provvedere alle prime necessità della popolazione che già da dodici giorni era costretta a bivaccare all’aperto. Il 9 novembre, anche il principe Andrea Doria Pamphilj, feudatario di Meldola, inviò sul luogo il suo agente generale Matteo Barboni con l’incarico di distribuire alla popolazione la somma di 600 scudi e l’equivalente in grano. Affidò inoltre al governatore di Meldola, Gentili, il compito di rilevare i danni alle case e di predisporre le liste per la distribuzione degli aiuti.

Cartolina di Santa Sofia terremoto del novembre 1918
In entrambi i casi, però, gli interventi economici, sebbene ampiamente pubblicizzati dai giornali dell’epoca, si rivelarono inadeguati alle reali esigenze della popolazione, che incontrò difficoltà e problemi a far fronte ai costi crescenti legati al forte aumento della domanda di manodopera e di materiali da costruzione. Le popolazioni locali dovettero così sopportare l’intero onere delle ricostruzioni, sia di quelle relative al patrimonio edilizio privato, sia di quelle relative alle chiese parrocchiali. A Spinello, per esempio, si protrasse per anni un dissidio fra parroco e parrocchiani a proposito della riparazione della chiesa “tutta fracassata”, che secondo il parroco spettava completamente al popolo (Guidoboni et al., 2007).

 L’area appenninica romagnola è fra le zone maggiormente sismiche dell’Italia centro-settentrionale, soprattutto per l’elevata frequenza di terremoti che nel corso dei secoli vi hanno causato danni più o meno gravi, e in diverse occasioni anche estese distruzioni.

Cartolina di Santa Sofia terremoto del novembre 1918
Per quanto riguarda gli ultimi mille anni di storia (CPTI11), il primo evento di cui si ha notizia nell’area è quello del 1194, ricordato da un’epigrafe ancora oggi visibile sulla facciata della Pieve di San Pietro in Bosco a Galeata. A partire dal XVI secolo forti terremoti che hanno causato gravi danni e distruzioni nell’Appennino romagnolo (alte valli del Bidente e del Savio) o nella fascia pedappenninica tra Faenza, Forlì e Cesena, sono avvenuti a cadenza secolare:
Data     Area epicentrale     Imax (MCS)     Mw
1584 09 10     Appennino tosco-emiliano1     9     5.8
1661 03 22     Appennino romagnolo     10     6.1
1768 10 19     Appennino romagnolo     9     5.9
1781 04 04     Romagna     9-10     5.9
1781 07 17     Romagna     8     5.6
1870 10 30     Romagna     8     5.6
1918 11 10     Appennino romagnolo     9     5.9

L’elevata frequenza di forti terremoti in quest’area emerge chiaramente anche dalla storia sismica di Santa Sofia che si può ricavare dal catalogo CPTI11. Negli ultimi 1000 anni coperti dal catalogo la storia sismica di questo comune è nota solo a partire dalla fine del XVI secolo (terremoto del 1584); il che ovviamente non significa che a Santa Sofia prima non ci siano stati terremoti, ma che allo stato attuale delle conoscenze semplicemente non si hanno informazioni a riguardo (o perché queste informazioni non sono mai state prodotte, o più verosimilmente perché non si sono conservate fino ai giorni nostri).

Cartolina di Santa Sofia terremoto del novembre 1918
A partire dal 1584, in un arco temporale di circa 430 anni, Santa Sofia ha subito gravi danni e distruzioni a seguito di quattro forti terremoti (Intensità ≥ 8 MCS) e danni minori (Intensità ≥ 6 MCS) in almeno sei altre occasioni. Dopo le distruzioni del 1918 e la ricostruzione successiva, la cittadina ha subito danni più lievi a seguito di terremoti anche negli anni 1952, 1956, 1957 e 2003. In realtà, per i terremoti minori la storia sismica di Santa Sofia risulta completa solo dal 1900 in poi e dunque si può supporre che nei secoli precedenti vi siano stati altri episodi sismici che hanno causato dei danni, ma che non sono stati “registrati” dalla tradizione sismologica.

Il 4 aprile e poi di nuovo il 17 luglio 1781 due forti scosse interessarono la Romagna, causando gravi ed estesi danni tra faentino e forlivese.

Cartolina di Mortano, Santa Sofia, terremoto del novembre 1918
Le aree colpite dai terremoti del 4 aprile (Mw 5.9, CPTI11) e del 17 luglio (Mw 5.6, CPTI11) risultano in buona parte sovrapposte, mentre quella colpita dal terremoto del 3 giugno è decisamente spostata più a sud-est. E tuttavia i tre eventi furono sufficientemente ravvicinati nel tempo e nello spazio da poter ragionevolmente pensare che abbiano generato una situazione di allarme crescente e prolungato in una vasta area dell’Italia centrale a cavallo dell’Appennino, compresi diversi centri dove le scosse causarono solo lievi danni o furono solo ripetutamente avvertite (ad esempio in città come Firenze, Arezzo, Pesaro, Rimini, Ravenna). L’occorrenza di forti scosse ravvicinate non solo nel tempo ma anche nello spazio geografico è una caratteristica che sembra ricorrere con una certa frequenza nella storia sismica italiana. Per rimanere nell’Appennino settentrionale (incluso il settore di catena colpito dagli eventi del 1781), è molto significativa la serie di forti terremoti avvenuti nella prima metà del secolo scorso nell’arco di soli cinque anni, tra il 1916 e il 1920, con una curiosa “migrazione” degli epicentri da sud-est a nord-ovest: nel 1916 una lunga e complessa sequenza sismica colpì la costa adriatica tra Pesaro e Rimini, con due eventi principali (17 maggio, Mw 6.0, e 16 agosto, Mw 6.1, entrambi con Io 8 MCS); il 26 aprile 1917 toccò all’alta Valtiberina, nella zona di Monterchi (AR) e Citerna (PG), con Mw 5.9 (Io 9-10 MCS); il 10 novembre 1918 furono gravemente danneggiati Santa Sofia (FC) e altri centri dell’Appennino forlivese (Mw 5.9, Io 9 MCS); poco più di 7 mesi dopo, il 29 giugno 1919, fu la volta del Mugello con Mw 6.3 (Io 10 MCS) e gravi distruzioni tra Vicchio e Borgo San Lorenzo (FI); infine, il 7 settembre 1920 si verificò il più forte terremoto fino ad oggi registrato nell’Appennino settentrionale (Mw 6.5, Io 10 MCS), il cui epicentro fu in Garfagnana e Lunigiana, dove ci furono vaste distruzioni e centinaia di vittime (dati da CPTI11 e DBMI11).

Dal punto di vista della pericolosità sismica, l’area dell’Appennino Forlivese è tra quelle che mostra i maggiori valori nell’Appennino Settentrionale. La pericolosità sismica esprime gli scuotimenti del suolo attesi con una certa probabilità nei prossimi anni. Valori elevati di pericolosità si possono avere in zone con eventi molto distruttivi o con eventi forti molto frequenti. In questo caso l’area è caratterizzata da sismicità che al massimo ha raggiunto magnitudo 6.1 (nel caso del terremoto del 22 marzo 1661), ma il catalogo storico riporta ben 8 terremoti con magnitudo maggiore di 5.5 (il primo della storia sismica della zona è quello del 30 aprile 1279) e 27 eventi di magnitudo maggiore di 5.0. L’accadimento ripetuto di eventi di magnitudo medio-alta fa sì che la pericolosità dell’area sia maggiore di quella delle zone circostanti.

Nel 2011 uno sciame sismico di importante intesità si verificò nel forlivese (Il fenomeno si ripete dalla fine di maggio: decine di terremoti al giorno) per quasi tutta l'estate provoncando alcune lesioni ad edifici pubbilci (vedi anche)

Italia bella e fragile: i terremoti del passato

lunedì 22 agosto 2016

quando il gatto dorme, i ........ ballano il rock

quando i gatti dormono i topi ballano
Qualcuno ha voluto farci credere che questa metafora signfichi che "l’assenza di autorità produce anarchia".
Niente di più errato e inappropriato!
Invece il significato vero è quello che la gente comune può finalmente sbizzarrirsi quando il potere va in catalessi, in tilt, in ozio, in default!!!

la corruzione non va mai in ferie

la corruzione non va mai in ferie

Ero indeciso sul titolo di questo post. Avevo pensato ad un titolo un po' diverso: la corruzione non va mai in vacanza.
tratto da Il Sole 24 ore

Sporco Diario: Sacchi neri e pifferai magici

Sporco Diario: Sacchi neri e pifferai magici: Se fosse così facile come nelle fiabe, non saremmo qui a parlarne un giorno sì e l'altro pure. Non esiste il pifferaio suadente che a...

L'inesorabile ma evitabile distruzione dell'ecosistema del pianeta Terra

L'inesorabile ma evitabile distruzione dell'ecosistema del pianeta Terra

Mi rendo conto che il titolo di questo post sia presuntuoso ma mi è venuto in mente oggi pomeriggio spiaggiato al mare (stessa sabbia, stesso mare) e assorto nei miei pensieri più profondi per cui non potevo rinunciare a trascrivere lo scorrere di quelle riflessioni che hanno poi preso il titolo di cui all'oggetto di questo post. 


sabato 2 luglio 2016

zappatori senza padrone

Nell’aprile del 1977 due ragazzi, fanno un sopralluogo a Ca’ Pian Baruzzoli, detta anche ‘Pianbaruccioli’ e poi soprannominata "Pianba"
La storia di Pian Baruccioli è nata come un’avventura: volevamo tornare alla terra, fare gli  agricoltori  [...]  Per  vivere,  mica  per guadagnarci!  Andammo  così  a  vivere  in  mezzo  alla   natura, in posti anche molto isolati. Ci piaceva stare là, lontano, anche dover fare molta  strada  a  piedi  per  i  sentieri  per  arrivare  in  cima  al  monte,  godersi  la  vista  e  poi  scendere. 
Lo facevamo forse proprio perché era difficile e anche perché eravamo giovani.  [...] Non  capivo proprio che senso avesse fare come gli altri. Non capivo, cercavo sempre esperienze  diverse. Tornavamo alla terra perché eravamo convinti che dato che la gente nasce da lì,  questo fosse il modo migliore per poter vivere, ognuno col proprio orto, la propria terra. ‘Un  giorno saremo in tanti’, si pensava.
[da "L’Acquacheta: breve storia di un territorio ai margini dell’urbanesimo" di Alessandro Mengozzi, SCIENZE DEL TERRITORIO 1/2013 pag. 417 (pdf)]


"Da Piazza Navona agli Appennini, dagli Appennini a Piazza Navona”- cronaca, storia, documentazione, testimonianza, immagino della dantesca valle dell’Acquacheta a cura del collettivo “Zappatori senza padroni G. Winstanley” della cui lettura devo ringraziare Marcello Baraghini, mitico editore di Stampa Alternativa.

1977, Aprile. Arrivano Rino e Gianbardo a visitare Pian Baruzzoli. Le case sono circondate sino alle soglie da sterpi, ortiche e rovi. All’interno, al primo piano, qualcuno si è portato via un intero camino. I tetti sono disastrati, le tracce di umido denotano infiltrazioni di acqua. Una delle poche stanze abitabili è completamente nera di fumo; è stata usata per far seccare le castagne. La sorgente ed il relativo serbatoio (il “pozzo”) è otturato ed all’interno si trova una pecora morta (…)


 Maggio. Arrivano Jerri, Vitalino e Massimo reduci dall’ennesimo tentativo di comune agricola vicino a Modigliana. Ci si da fare per allargare lo spazio abitabile, si raccoglie legna secca, si inizia a costruire uno steccato intorno ai due orti in quanto Jerri porta con se la capra “Cipollina”, che sin da piccola lo segue come un cagnolino. Si accelerano i tempi e pur in ritardo si semina tutto il possibile. Il lavoro è duro, la terra è bassa; e si deve anche fare dell’artigianato per rimediare i soldi necessari per l’alimentazione e le zappe. Si progetta di costruire letti di legno e nel frattempo si portano sù per l’Arrabbiata alcuni materassi. L’entusiasmo è grande, come quando ci si mette a dissodare terre vergini(…)

Giugno-Luglio. Arrivano Ulisse, Adria no, Maurizio e Franchino da una comune vicino Vercelli (…)

Nel 1982 un gruppo di giovani, molti di essi sono lombardi, emiliani e veneti, si spostano a La Greta. Hanno qualche anno in meno dei primi. Il rudere viene risistemato; dapprima la occupano e verso la fine degli anni novanta la casa viene acquistata dalla coppia che  ancor oggi rimane nel fondo. Dal nucleo originario, dopo la prima fase pionieristica, si creano coppie, si formano nuovi nuclei che gradualmente si spostano in case più vicine al paese; così come è avvenuto a Pianba. La posizione della Greta orienta i suoi abitanti verso San Godenzo e la frazione di Castagneto. ... 

Nel 1985, nella piana dei Romiti, viene organizzato un Rainbow gathering internazionale, una festa-raduno en plein air di diversi giorni; in quelle occasioni ci sono varie attività, alcune anche di confronto creativo; alcuni abitanti ne escono con l’intento di costituire l’associazione “Arcobaleno per l’Acquacheta” che, dal 1986, si propone il ripopolamento della valle secondo i principi della tutela della natura, la divulgazione di pratiche e tecniche ecologiche e l’educazione ambientale. Vogliono promuovere intese con gli enti locali per iniziative culturali ed eco-turistiche. [da "L’Acquacheta ..." cit.]

Due Decreti del 23 dicembre 2004 cancellano dal registro delle imprese quindici società cooperative della provincia di Forli-Cesena ... fra queste la “Cooperativa zappatori senza padroni G. Winstanley – Società cooperativa a r.l.” di Portico e San Benedetto"  [da Rassegna di provvedimenti di interesse agricolo-ambientale-previdenziale-fiscale pubblicati sulla Gazzetta ufficiale n 4 del 7 gennaio 2005 - qui]

linkografia utile:

Gli Zappatori dell’Acquacheta

I semi dell’Acquacheta

I semi dell’Acquacheta, parte II

I semi dell’Acquacheta parte III

I semi dell’Acquacheta, parte IV

I semi dell’Acquacheta, parte V

Alla ricerca del “popolo degli elfi”

Trent’anni dopo all’Acquacheta


Elfi si diventa, Elfi si rimane


Biscotti detto Gianni 

Coi teepee in piazza

Cosa sono i Rainbow Gatherings?
 


 

venerdì 17 giugno 2016

ALTRI MONDI

In Italia sono circa un decimo dei sei milioni di titolari di azienda gli imprenditori extracomunitari. 
I dati provengono da uno studio di Unioncamere-Infocamere sui dati del registro delle imprese.
La quota più rilevante (il 63%) è costituita da titolari di imprese individuali, la forma giuridica più semplice e ancora la più diffusa - anche tra gli italiani - per operare sul mercato.

Quasi 142.000 ricoprono invece una carica di amministratore. Le donne rappresentano il 25% degli imprenditori extracomunitari. Solo l'8% del totale ha meno di 30 anni. Sono quasi 600.000 le persone nate al di fuori dell'Unione europea titolari di un'impresa in Italia (568.749), per quasi due terzi (il 63%) a capo di un'impresa individuale.

Il settore nel quale la presenza è più forte è il commercio con circa 200.000 imprenditori mentre altri 98.000 sono impegnati nelle costruzioni.

Quasi la metà del totale (280.000 persone) ha la propria attività nel Centro Nord (123.000 nella sola Lombardia).

I più rappresentati sono gli extracomunitari provenienti dal Marocco (78.342 persone tra amministratori, titolari e soci) seguiti dai cinesi (74.244 persone). Al terzo posto l'Albania seguita da Svizzera e Bangladesh. Insieme, le prime cinque nazionalità rappresentano quasi la metà del totale delle persone con cariche nate fuori dall'UE.
[clicca su Continua a leggere ... per visionare le tabelle con i tutti i dati]


mercoledì 8 giugno 2016

raccontami una storia

C'era una volta un Re
seduto sul sofà
che disse alla sua serva
raccontami una storia
e la serva incominciò:
C'era una volta un Re
seduto sul sofà ...






Nel centro medievale di Portico sorgerà la scuola per formare i moderni cantastorie ... la prima accademia di storytelling
La Repubblica on-line del 6 Giugno scorso ci informa di questa interessante iniziativa dedicata appunto allo storytelling. Una sorta di moderna versione dell'antica arte dei cantastorie nostrani. 
L'8 Giugno di quest'anno si svolgerà la seconda edizione dello Storytelling Night
L'iniziativa nasce dall'intuizione dei gestori del Vecchio Convento di Portico di Romagna che da tempo propongono tramite l'Accademy Olmo corsi e workshops su questo genere d'arte popolare. 
Occorre però capire meglio di cosa si tratta. Dal cantastorie allo storytelling.
Sui cantastorie esiste una vastissima bibliografia, storica e etno-antropologica. Se ne sono occupati nel tempo eminenti storici, ricercatori e divulgatori.
L'eredità di questa antica arte popolare è tutt'ora patrimonio delle associazioni (il Treppo; AICA; i nuovi cantastorie; rivista il cantastorie; il cantastorie) che conservano la memoria storica e l'archivio degli ultimi novellatori del '900. Fra tutti Lorenzo de Antiquis e Piazza Marino, che in Romagna hanno girato in lungo e in largo per borghi e paesi per narrare col canto musicale storie d'attualità e di fantasia.

evolution storytelling
evolution storytelling
Lo storytelling invece è di origine anglossane e nella versione per così dire contemporanea lo si trova utilizzato in ambito terapeutico (ad esempio come terapia non farmacologica per l'assistenza dell'Alzheimer) ma anche in ambito politico e imprenditoriale. Tanti gli eventi dedicati, come ad esempio il Festival Internazionale di Storytelling Raccontamiunastoria.
Lo Storytelling è simile all’arte oratoria della recitazione e della propaganda politica per coinvolgere, emozionare e convincere lo spettatore pubblico. 
Tecnica questa ultimamente utilizzata anche nel marketing aziendale per creare dei contenuti emozionali (il cosidetto marketing virale) per "narrare" e raccontare con una storybord  i plus, i valori, l'identità di un'azienda, i know-how operativi (il sapere, il saper fare, e il saper essere) o le caratteristiche etiche e sociali dei prodotti di consumo.


• video in Rai-Teche Uno degli ultimi cantastorie pavesi, Adriano Callegari: esibizione in piazza  
http://www.teche.rai.it/1978/10/uno-degli-ultimi-cantastorie-pavesi-adriano-callegari-esibizione-in-piazza/
"Siamo alla fine degli anni 70, e questo filmato mostra l’ultimo dei cantastorie pavesi, Adriano Callegari, durante un suo spettacolo in piazza. Circondato da un nutrito gruppo di gente ( un “treppo”, in gergo) dapprima si esibisce con la sua orchestrina suonando il sax eseguendo(“Romagna mia”  e dopo racconta la storia di un bambino figlio di un operaio milanese, colpito da paralisi ed abbandonato da una madre snaturata (“Mamma perché non torni)."








domenica 22 maggio 2016

Castrocaro, il termalismo, il fallimento gestionale del privato, l'incapacità del pubblico

La Camera di Commercio di Forlì-Cesena ha recentemente pubblicato il Rapporto sull'economia del 2015 della Provincia in cui, nel settore del Turismo si evidenzia (pag 140) che: "Analizzando i dati comunali, sia di Bagno di Romagna che Bertinoro hanno chiuso il 2015 con un bilancio di presenze nel complesso positivo: rispettivamente +0,4% e +1,8%. 
Bertinoro, con lo stabilimento termale di Fratta Terme, ha attirato il 2,1% di turisti italiani in più rispetto al 2014 mentre Bagno di Romagna ha registrato una flessione dell'1,6% di turisti stranieri.  

A Castrocaro Terme e Terra del Sole si è invece registrata, rispetto allo scorso anno, una flessione negli arrivi del 9,3% e nelle presenze pari al 9,5%".

http://www.turismo.fc.it/_vti_g7_AP.aspx?rpstry=71_
E' questa una situazione economica che si protrae da diversi anni senza sosta che dimostra come il termalismo, la maggior industria del Comune, considerando anche l'indotto, è gestito da un'azienda privata incapace di inverire la tendenza negativa e che l'Ente pubblico è totalmente assente con proposte politiche propositive tali da favorire e sostenere il settore.
A questa situazione economica, sociale e culturale, estremamente grave e preoccupante, si deve aggiungere che l'Ente locale, spalleggiato dalla Regione Emilia-Romagna, anch'essa incapace di porre in essere soluzioni positive ed alternative al declino, sta per cedere al gestore privato le proprie quote azionarie della società termale dopo anni di "svendite" e dismissioni discutibili di parti consistenti di patrimonio pubblico di rilevanza ambientale e storica.

Qualcuno dei soliti noti politici e imprenditori locali proverà ad obiettare che questa riflessione non sia obiettiva in quanto la situazione castrocarese è figlia di un settore che registra da decenni una crisi profonda!
Ma è proprio vero che il termalismo regionale in Emilia-Romagna è in crisi profonda?
Sembrerebbe invece il contrario da quanto pubblica il Corriere della Sera in un recente articolo (4 Aprile 2016) significativamente intitolato "La crisi del modello termale - Stabilimenti in difficoltà divisi tra cura e divertimento": Le terme in Emilia-Romagna sono in crisi? Secondo le statistiche e gli addetti ai lavori, per i 26 centri distribuiti in 19 località della regione, le cose non starebbero proprio così. Nel 2015 l’andamento turistico del comparto ha registrato un incoraggiante +7,3% alla voce arrivi rispetto all’anno precedente, col totale di persone che hanno effettuato soggiorni termali salito da 356.000 a 382.00 ... In aumento anche le presenze (le notti in strutture ricettive): +2,9%, ovvero da 1.472.000 a 1.515.000, con un incremento del 22% di componente straniera (163.000 nel 2014, 199.000 nel 2015) (...) con «un indotto per il territorio di circa 700 milioni» (...) «Il comparto delle terme dell’Emilia-Romagna contribuisce al 25% dei ricavi del settore di tutta Italia» ... nel corso del decennio si è registrato un leggero incremento degli occupati a tempo indeterminato, dovuto alle realtà che hanno optato per l’apertura annuale» (...) le terme rappresentano anche una fonte di reddito per almeno 14.000 persone con attività di vario genere sul territorio. «Ci sono località che vivono quasi esclusivamente di questo» continua il presidente di Coter, facendo l’esempio di Bagno di Romagna, isola felice con tre centri termali e quasi 80.000 arrivi nell’ultimo anno, almeno stando a Elias Ceccarelli, presidente di Terme Sant’Agnese spa, unica società pubblica (al 96%) del trio. Eppure gli affari non vanno benissimo ovunque. Basta spostarsi alle terme di Salsomaggiore e Castrocaro, dove ci sono due uniche società proprietarie degli stabilimenti con partecipazione regionale — rispettivamente del 23,43% e del 10,2% — per riscontrare perdite da oltre 5 milioni negli ultimi due anni. Tanto che viale Aldo Moro è da mesi a lavoro per cedere le proprie quote. Nel giro di un anno, assicura Corsini, la Regione sarà fuori dalla compagine salsese, mentre per Castrocaro, dove attualmente il rilancio sembrerebbe funzionare — grazie alla società di gestione Longlife Formula spa, della holding Gvm Care & Research — «si spera anche prima».


Conclusioni? Che la vicenda castrocarese sia ormai di lunga data lo sanno tutti, cani e porci, e che le responsabilità siano da ricercare nelle "alte sfere politiche", regionali e locali del partito di maggioranza è altrettanta cosa nota ma, l'esito di questa situazione, a poco meno di un anno dalle prossime elezioni amministrative, sarà quello di un totale depauperameto di risorse che getterà il Comune termale forlivese nella più profonda crisi politica degli ultimi 150 anni!

venerdì 22 aprile 2016

Lettera al Sindaco di Forlì sugli inceneritori di rifiuti e le industrie insalubri

Egr. S.re Sindaco Comune di Forlì

E p.c. Assessore all’ambiente

Oggetto: vicenda inceneritore forlivese di rifiuti sanitari



Con la presente comunicazione, non a titolo personale ma in nome e per contro del Forum No Inceneritori Forlì-Romagna, inoltro le osservazioni e le richieste che riteniamo debbano essere prese in considerazione dal Comune di Forlì in conseguenza della recente vicenda relativa alla pratica autorizzativa per l’impianto forlivese di incenerimento rifiuti sanitari di proprietà Mengozzi spa ma anche per l’altro impianto di smaltimento di rifiuti solidi urbani di gestione Hera spa.

Premesso che siamo a conoscenza e condividiamo le “osservazioni” del 22 c.m. redatto dal Tavolo delle Associazioni Ambientaliste di Forlì (TAAF), ci preme innanzitutto evidenziare che le INDUSTRIE INSALUBRI DI PRIMA CLASSE [Allegato parte I del Decreto Ministeriale del 5 settembre 1994 (G.U. n. 220 del 20.09. 1994, s.o. n. 129)Elenco delle industrie insalubri di cui all' art. 216 del testo unico delle leggi sanitarie] devono essere “collocate lontano dalle abitazioni e isolate nelle campagne”.

Per cui, a tutela della salute pubblica e della protezione ambientale, si chiede prioritariamente che venga fatta rispettare tale norma e si dia immediata applicazione al PRINCIPIO DI PRECAUZIONE di derivazione comunitaria [art. 191, COMMA 2 Trattato FUE], ritenuto applicabile ai sensi dell’art. 1, l. n. 241 del 1990 e comunque recepito dall’art. 301 del Codice dell’Ambiente [D.l. 03/04/2006 n° 152, G.U. 14/04/2006] "in forza del quale per ogni attività che comporti pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, deve essere assicurato un alto livello di protezione" (Principio di precauzione: il Consiglio di Stato ribadisce i presupposti per l’operatività della tutela preventiva - Consiglio di Stato, Sez. V, decisione 27 dicembre 2013, n. 6250 - Presidente Torsello, Estensore Poli - vedi Sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 27.12.2013]
In base a quanto fino ad ora espresso, appare utile ogni azione che l'amministrazione Comunale ma anche la Regione potranno assumere sia a difesa del principio di precauzione sia a tutela della salute pubblica.
Ci preme inoltre far notare che “La legittimità costituzionale dell’imposizione di misure di cautela che incidono restrittivamente su libertà fondamentali, come l’iniziativa economica privata, non può trovare fondamento che nell’esigenza di tutela di altri diritti fondamentali, come la salute, che possono prevalere nel relativo bilanciamento fra interessi costituzionali. Ciò significa allora che la garanzia di alcuni valori costituzionali, come la tutela della salute o dell’ambiente esige, o perlomeno consente, in certi casi l’adozione di un livello precauzionale di protezione, tale da giustificare il sacrificio di altri diritti costituzionali” [“Il principio di precauzione nellagiurisprudenza costituzionale”, prof, STEFANO GRASSI , dott. ANNA GRAGNANI - Università di FIRENZE].

Pertanto, si chiede:
1) che l’Amministrazione comunale si doti di un elenco completo esaustivo ed accessibile al pubblico di tutte le INDUSTRIE INSALUBRI DI PRIMA CLASSE presenti sia nel territorio comunale sia in quello provinciale e dell’Unione dei Comuni del Forlivese, Enti che le presiede.
Tale elenco dovrà essere anche strumento tecnico conoscitivo delle sostanze inquinanti che tali industrie possono produrre al fine di poterne monitorare l’attività produttiva. 
2) che il Comune e gli Enti pubblici territoriali, nel rispetto dei dettami degli articoli 216 e 217 (Regio decreto 27 luglio 1934, n.1265), sia per gli impianti di incenerimento di rifiuti sia per tutte le altre industrie insalubri di classe prima presenti nel territorio forlivese-provinciale, si dotino di mezzi, strumenti e modalità per la verifica costante e puntuale del rispetto sulla tollerabilità o meno delle loro lavorazioni al fine di tutelare la salute pubblica;

3) che il Comune e gli Enti pubblici territoriali nel rispetto del D.L. 33/2013 [14 marzo 2013, n. 33 “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni” (13G00076) (GU n.80 del 5-4-2013 )] adottino da subito modalità di “accessibilità totale” di tutte informazioni (dati, rilievi, resoconti, etc.) relative a tutta la questione della gestione dei rifiuti sia urbani domestici e assimilati speciali e pericolosi oltre alle attività delle altre industrie insalubri di classe prima presenti nel territorio forlivese-provinciale;

4) che il Comune e gli Enti territoriali, sempre nel rispetto del D.L. 33/2013, si dotino di mezzi, strumenti e modalità di comunicazione pubblica diffusa, completa e comprensibile in modo tale da rendere informati puntualmente tutti i cittadini.
5) che il Comune e gli Enti territoriali, compresa la Regione Emilia-Romagna, nei confronti di tutti impianti di incenerimento di rifiuti sia quelli ricompresi nel territorio forlivese sia quelli regionali e nei confronti di tutte le "industrie insabribi di classe prima", diano immediata applicazione al principio di precauzione (come sopra esposto) adottando ogni misura volta ad assicurato un alto livello di protezione per la salute umana e per l’ambiente.


Forlì, lì 25 marzo 2016

Per il Forum No Inceneritori Forlì-Romagna

Claudio Torrenzieri