domenica 18 novembre 2007

Rovinato dalle canne ... mi hanno confuso il cervello

L'altra Perugia, quella dell'omicidio di Meredith, quella che i mass-media hanno "pompato" a dismisura relegando nel dimenticatoio la vicenda di Aldo Bianzino .... in questa intervista esclusiva di Repubblica emerge che il principale indagato (Raffaele Sollecito) si faceva tante di quelle canne che non gli hanno permesso di capire cosa stava succedendo ....

Messa così, l'italiano medio capisce che chi si fa le canne può trovarsi suo malgrado imputato d'omicidio ma non capisce la ragione per cui si possa morire ingiustamente in carcere.

Leggete e imparate ...

Domanda: C'è qualcosa che non rifarebbe, che si pente di avere fatto o detto negli ultimi giorni prima dell'omicidio o dopo?
Risposta: "Tanto per cominciare non mi farei tante canne. Mi sono intontito per giorni e giorni e adesso capisco che non avere il cervello lucido non mi ha certamente aiutato quando ho dovuto dimostrare la mia innocenza".

Perugia ... ombelico dello stivale ? Casini (Pierferdi .... il mitico ... come il giovedì non sta mai zitto!!!)

INGLESE UCCISA: CASINI, IMMAGINE PERUGIA INACCETTABILE (ANSA) - PERUGIA, 17 NOV - È «inaccettabile» l'immagine data della città di Perugia in seguito all'omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, secondo il leader dell'Udc, Pierferdinando Casini, che ha espresso la propria solidarietà «alla città e ai suoi abitanti». «Il tema della sicurezza - ha detto Casini oggi pomeriggio a Perugia in un incontro pubblico - per me è tema decisivo». «Molte città - ha continuato - sono insicure. Certo anche l'Umbria ha i problemi di sicurezza che 15 anni fa non aveva. Roma non è quella delle vetrine del Festival del Cinema. Bologna è una città sotto scacco della delinquenza». Secondo Casini, «Perugia certamente si confronta con problemi di delinquenza nuovi. Ma è una grande città, con una università che è nella storia del nostro Paese». «L'immagine semplificata, rozza e volgare che proviene da molte ricostruzioni di queste ore, anche televisive - ha concluso Casini - dalla quale sembra che Perugia sia una casbah dove circolano solo droga e delinquenza, è inaccettabile». (ANSA). PE/AM 17-NOV-07 18:15 NNN

Notiziona ... dell'ultima ora ... così tanto per evitare di screditare Perugia ...

INGLESE UCCISA: FEDERFARMA, QUI NON PIÙ DROGA CHE ALTROVE (ANSA) - PERUGIA, 18 NOV - Anche i farmacisti entrano nel dibattito sull'immagine («distorta», secondo il Comune) della città di Perugia, fornita da alcuni media dopo l'omicidio di Meredith Kercher. In riferimento, in particolare, alla diffusione della droga, il presidente della Federfarma umbra, Augusto Luciani, ha affermato che «da qualche anno la vendita delle siringhe è 'standardizzatà» e la situazione, a Perugia, «è analoga a quella di molte altre città universitarie». Nelle quattro farmacie del centro storico - ha riferito Luciani - si vendono in media 100 siringhe al giorno, ma già in periferia la richiesta è praticamente nulla«. »Il consumo - ha osservato - è standardizzato, se non, probabilmente, diminuito«. »Una delle ragioni - ha spiegato Luciani - potrebbe essere un aumento del consumo di cocaina rispetto all'eroina. Ma in ogni caso, dal nostro 'osservatoriò, non rileviamo una degenerazione del fenomeno del consumo della droga, negli ultimi anni«.(ANSA). PE 18-NOV-07 16:00

Questa è la stampa ... questa è l'informazione pubblica ... che ci volete fare ... il diritto di parola non si nega a nessuno ... l'importante sarebbe evitare di dire cazzate ... o meglio l'importante sarebbe dire le cose come stanno e per quelle che sono realmente ...

Cari giornalisti. Aldo Bianzino è morto da un mese. Le cause sono ancora del tutto oscure




Cari giornalisti. Aldo Bianzino è morto da un mese. Le cause sono ancora del tutto oscure

di Arianna Ciccone

Gent.mi giornalisti,

vogliamo esprimere tutto il nostro sdegno per come l’informazione in questi giorni sta completamente venendo meno alla propria missione in una società civile e democratica.

Da giorni trasmissioni televisive e giornali si occupano continuamente in modo approfondito dell’omicidio di Meredith Kercher che, per quanto tragico, sembra sia avvenuto per mano di un giro di suoi amici.

Non ci sono trasmissioni, speciali, pagine intere o approfondimenti dedicati alla morte di Aldo Bianzino, un uomo di 44 anni che è stato incarcerato il 12 ottobre nel carcere di Capanne a Perugia per possesso di marijuana ed è uscito dalle mani dello Stato, che avrebbe dovuto proteggerlo, senza vita il 14 ottobre.

Il 12 ottobre Aldo Bianzino entra in carcere in buone condizioni di salute e viene condotto in isolamento. La mattina del 14 ottobre alle 8.15 la polizia penitenziaria entra in cella e trova Aldo agonizzante, morirà dopo poche ore. I detenuti pare abbiano dichiarato di aver sentito più volte Aldo lamentarsi e chiedere aiuto la notte precedente al ritrovamento.

Aldo Bianzino è morto da un mese. Le cause sono ancora del tutto oscure. Il silenzio delle istituzioni e dei media è inconcepibile.

Inizialmente si è parlato di un infarto, ma una seconda autopsia ha attestato trauma cranico, costole rotte e fegato spappolato. Chi ha ucciso e come sia morto Aldo non si sa e nessuno se ne occupa.

Il valore di questa vita e la ricerca della verità rispetto a questo episodio non dovrebbero avere lo stesso peso di quello attribuito alla vicenda Meredith? Dobbiamo ritenere che ad interessare i giornalisti siano episodi di droga e sesso e gli scandali che ruotano intorno all’omicidio di Meredith piuttosto che la ricerca e la difesa della verità in quanto tale? Oppure dobbiamo pensare che i protagonisti “giovani e belli” del caso Kercher meritano maggiore attenzione perché fanno più audience?

lettere al giornale ...

Verità sulla morte di Aldo Bianzino

Spettabile redazione de Il Messaggero, siamo un'associazione studentesca dell'ateneo perugino, inviamo questa mail sperando che, oltre ad essere pubblicata, i giornali, i mezzi di comunicazione di massa, parlino finalmente di un fatto gravissimo avvenuto a Perugia la notte tra il 13 ed il 14 ottobre.

La vicenda riguarda la morte di Aldo Bianzino, morto in circostanze ignote, o meglio sarebbe dire ambigue, nel carcere di Capanne, nelle prime ore della mattina del 14 ottobre. Venerdì 12 ottobre Aldo Bianzino e la moglie Roberta sono stati arrestati per possesso e coltivazione di marijuana. Sabato 13 ottobre sono portati al carcere di Capanne: Roberta viene portata in cella con altre donne, e il suo compagno, fino a quel momento in buone condizioni di salute, verrà messo in isolamento. Domenica 14 ottobre alle ore 8.15 la polizia penitenziaria lo trova agonizzante e poco dopo muore.

I primi comunicati danno notizia di una morte per cause naturali. Successivamente tutto viene smentito dall'autopsia, richiesta dal pm, dove risulta invece che il corpo di Bianzino presentava la frattura di tre costole, lesioni cerebrali, al fegato e alla milza, lesioni che non potevano essere causate da altri detenuti (proprio perché in isolamento), lesioni che non può essersi fatto da solo perché non hanno lasciato la minima traccia esterna sul corpo di Bianzino.

Sulla vicenda è stata già aperta un'inchiesta per indagare su un'eventuale colpa degli agenti penitenziari per omissione di soccorso; ma ancora non si parla esplicitamente né di omicidio, né tanto meno di fare luce e chiarezza sui fatti. Nel frattempo si è costituito un comitato, il Comitato Verità e Giustizia per Aldo, di cui la nostra associazione fa parte, per tentare di spronare le istituzioni e le autorità affinché facciano chiarezza.

Il Comitato, poi, indice una manifestazione nazionale sabato 10 novembre, proprio per rilanciare la questione che da un lato non si fa che parlare di sicurezza, c'è un clima di paranoia securitaria generale volta alla repressione, dall'altro lato molte persone vengono uccise in situazioni ambigue dentro alle carceri di "sicurezza". Non abbiamo ancora sentito un politico che alzi la voce e metta l'accento nel dire che la sicurezza di cui ha bisogno questo paese è quella sul lavoro e quella di un lavoro contro una vita di precariato; vogliamo che ci dicano (e facciano) che è meglio reprimere le prime ruote del carro, ed aiutare piuttosto le ultime ruote di questo carro: gli immigrati e le fasce più deboli, che, attratti da soldi facili, sono coloro che si espongono di più e vengono puntualmente criminalizzati; vogliamo spazi sociali, con l'investimento reale da parte dello Stato, proprio perché si evitino situazioni di repressione violenta, che certamente non giovano nemmeno all'immagine delle Forze dell'Ordine.
Distinti saluti

Associazione Studentesca L'Altra Sinistra

(3 novembre 2007)

il silenzio mediatico

il silenzio mediatico
Un presunto omicidio, ad oggi velato di mistero, da vicenda locale, si fa notizia nazionale e quindi internazionale, eppure i principali Media sembrano ignorarla. Solo La Nazione, quotidiano locale, Liberazione , il Manifesto e Lettera 22, con altri giornali online, mantengono una cronaca costante dei fatti. Il primo novembre, il TG3 e la Repubblica rendono pubblica la notizia ma, ad oggi, se si digita sul motore di ricerca delle altre maggiori testate il nome di Aldo Bianzino, il risultato è un bello zero, il fatto non sussiste. Il primo novembre tutte le prime pagine riportano l’orrendo omicidio di Giovanna Reggiani a Roma, commesso da un rom, l’omicidio di Perugia conquista la sedicesima pagina di Repubblica, mentre in quattordicesima si rende noto che la Cassazione ha depenalizzato la coltivazione di cannabis per “uso ornamentale”. Tuttavia per cannabis si muore! Ne seguirà un commento di Michele Serra che conclude: “uno Stato con i nervi saldi non se la prende con gli hippies: se non altro perché avrebbe cose più urgenti e più serie da fare”. La tragedia di Aldo Bianzino si è consumata mentre in parlamento si discuteva della commissione per il G8. E\' forse perciò che la notizia ha avuto così poco risalto sui Media? Oppure, per molti Media, paga di più cavalcare l\'onda xenofoba, rivendicando ronde e derive autoritarie? Non si può essere sgomenti, tanto quanto, di fronte alla violenza di un disperato a Roma e di apparati dello Stato in un carcere? Non si pone, in Italia, un problema di civiltà ben più vasto, che va oltre il problema dell\'immigrazione? Quesiti che si sovrappongono mentre il dibattito sulla sicurezza ricopre sempre più vesti ideologiche e di propaganda politica, non dando ascolto alle statistiche che parlano del crescente fenomeno della violenza domestica. Si cacciano gli zingari, i diversi, i poveri, mentre sempre più spesso una donna muore per mano di un marito o di un fidanzato, la violenza si consuma dove dovremmo trovare rifugio e sicurezza, anche tra le mura di istituzioni che dovrebbero garantire l’incolumità. Aldo Bianzino è ricordato come mite, ”ghandiano”, pacifista, magro, etereo, alto, occhi azzurri dietro le lenti, “così rispettoso e riservato da mettere soggezione”. Viveva a Pietralunga, Perugia, in un cascinale, era falegname, lascia la sua compagna e tre figli a 44 anni. 08/10/2007 Marcello Sordo

Io ho paura dell’uomo nero

Io ho paura dell’uomo nero

Io ho paura dell’uomo nero, ho paura del silenzio, ho paura dell’impunità, ho paura dell’indifferenza, dei giorni che passano senza che si faccia nulla, dell’oblio, del tirare avanti, dell’egoismo e della mancanza di solidarietà, della distanza che ci sta separando.

La notte tra il 13 e il 14 ottobre è stato assassinato, nel Carcere di Capanne a Perugia, Aldo Bianzino, un uomo di 44 anni, arrestato due giorni prima, insieme alla sua compagna Roberta, per possesso di piante di marijuana. Infarto dichiara il primo referto medico, secondo una prassi più che conosciuta, ma la seconda prova medica riscontra sul corpo di Aldo gravi contusioni al cervello, alla milza, al fegato, e diverse costole rotte.

E Aldo è morto. Come? Perchè? Chi è Stato?

L’accusa è di omissione di soccorso per i poliziotti incaricati di sorvegliare i detenuti quella notte.

Vogliamo chiarezza sui lati oscuri di questa vicenda.

Non ci basta una inchiesta aperta su un omicidio volontario contro ignoti, vogliamo che nessuna certificazione falsa e nessuna omissione omertosa incida sulla certezza della verità.

Vogliamo che la responsabilità della morte di Aldo sia assunta colettivamente, non sia attribuita solo all’istituto penitenziario ma al suo sistema carcerario.

Il caso di Aldo è troppo simile a quello di Giuseppe Ales, Federico Aldrovandi, Alberto Mercuriali, Marcello Lonzi, tutti figli di una sorta di "spontaneismo intollerante" che agisce violentemente contro gli stili di vita non omologanti.

Inoltre le loro e altre storie di violenze, morti e silenzi di Stato ci raccontano che nessun passo verso verità e giustizia si può fare se tutto viene delegato alle istituzioni.

E’ tempo di costituirci in comitato per la verità su Aldo, perchè non ci fidiamo di uno Stato che processa se stesso e che alla fine finisce sempre per autoassolversi o al massimo nel trovare un capro espiatorio che paghi al posto di un sistema che rende normale la violenza istituzionale e la tortura: quando la tortura non è reato il carcere uccide!

Vogliamo la verità, vogliamo che a nessun’altro succeda quello che è successo ad Aldo.

Vogliamo l'abrogazione della legge fini giovanardi.

Vogliamo vivere la nostra sicurezza, la nostra vita.

Vogliamo disinnescare le paranoia securitarie e arrestare le aggressioni proibizioniste, disattare le dinamiche di esclusione e di controllo sui corpi.

Vogliamo una municipalità altra, fatta di cittadinanze attive e partecipazione.

La sicurezza che vogliamo è sicurezza sul lavoro.

La sicurezza che vogliamo è sicurezza di avere un reddito.

Un paese che tortura chi coltiva una pianta e criminalizza gli stili di vita difficilmente può essere chiamato un paese civile.

Non vogliamo bugie, mistificazioni, insabbiamenti.

A chi chiede piu' carcere chiediamo verità e giustizia.

Oggi Trasformiamo la nostra paura in azione.

Perché mio figlio è morto?

Perché mio figlio è morto?
Cari amici de il manifesto, sono il papà di Aldo Bianzino (morto di percosse nel carcere di Perugia il 23/10 dopo essere stato arrestato per detenzione di marijuana, ndr), vi chiamo amici perché, pur non conoscendovi personalmente, vi ho sentiti vicini nella tragedia che ci ha colpiti. Io e mia moglie desideriamo vivamente ringraziare voi e tutti coloro che hanno seguito e raccontato i fatti. Un grazie va a Luigi Manconi, al quale in particolare ci affidiamo perché non molli e faccia di tutto per arrivare alla verità e identificre i colpevoli, e alla signora Maria Ciuffi, la mamma di Marcello Lauri che era stata colpita da una tragedia uguale e che ci ha scritto una lettera che voi avete pubblicato. Unisco a questa lettera alcune mie riflessioni delle quali mi assumo in ogni caso tutta la responsabilità scaricando eventualmente voi.
1. Quelli che hanno massacrato Aldo si sono comportati come i componenti della famigerata banda Kock, o come gli aguzzini di Videla o di Pinochet. In quella gente però c'era una diversità: combatteva, in modo ignobile, contro qualcuno, aveva una parte avversa, inerme e debole, ma comunque avversa, che stava «dall'altra parte», che, almeno ai loro occhi, si configurava come «nemico». Lungi dall'essere una giustificazione, questa se non altro può essere una spiegazione. Ma Aldo, di chi poteva essere «parte avversa»?
2. Il direttore del carcere chiama se stesso e la sua organizzazione fuori da ogni colpa: ma in quel carcere, che si definisce «di sicurezza», non era forse lui prima di tutti il responsabile di ciò che avveniva, della vita e della salute di chi gli era stato affidato? Si possono paragonare tra loro l'illegalità (secondo la legge italiana attuale) di coltivare piante di cannabis e le sevizie mortali (materiali, mentali, morali) inflitte ad un uomo? Eppure si sente già aleggiare, tra i «benpensanti», la gente «per bene», che in fondo era un drogato, quindi aveva le sue colpe. La legge infame di cui sopra, tra l'altro, accomuna marijuana e crack, eroina, cocaina, etc.: è come paragonare la camomilla ai barbiturici. Quanto al tenore di cannabinolo contenuto nelle piantine coltivate ai nostri climi, per una pianta che, a quanto mi risulta, è acclimatata bene in Libano e in Messico, credo ci sarebbe da discutere. Per l'accusa di spaccio, basta ricordare che la perquisizione in casa di Aldo ha fatto trovare in tutto 30 (trenta!) euro. E Aldo non aveva conto in banca o in posta.
3. Mi dicono che il Pm che ha in mano l'inchiesta sia una persona seria, che vuole andare a fondo e trovare i colpevoli. Ma è quello stesso che ha fatto arrestare Aldo e la sua compagna. Possibile che non avesse saputo che così facendo avrebbe lasciato soli in una casa isolata sull'Appennino un minore (quattordicenne) con la nonna ultranovantenne dalla salute precaria?
4. Non ho nessuna fiducia che si arrivi a stabilire la verità tramite la «giustizia» italiana. Abbiamo troppi esempi in cui lo stato italiano ha coperto le colpe di delitti e stragi su cui aveva interesse che la verità non venisse fuori. Mi vengono in mente Piazza Fontana, Brescia, Bologna, l'Italicus, Ustica, il G8 di Genova, l'assassinio di Pinelli, in cui il primo responsabile a sua volta è stato messo a tacere in un modo che ricorda parecchio il caso Kennedy, mandando poi in galera gente che probabilmente non c'entrava affatto. Voglio vedere (ma vorrei non vedere) se anche qui trionferà la logica degli omissis (magari non dichiarati) del segreto di stato, della vergogna. Siamo sicuri che tutte le morti avvenute in carcere in questi anni e catalogate come «suicidio» siano state veramente tali?
5. C'è un pezzo per pianoforte di Robert Schumann, triste, ma di una tristezza quasi incredula, che ripete, in vari toni, la stessa frase musicale che è una disperata domanda: si intitola «Warum?», perché?
Giuseppe Bianzino

lunedì 12 novembre 2007

dignità e giustizia per Alberto, per Aldo, per Federico, per ... tutti

Perché dignità e giustizia per Alberto, per Aldo, per Federico, per ... ?
Perché, in queste vicende umane, ci sono alcuni elementi comuni e alcuni elementi discordanti ...
L'elemento che accomuna queste vicende umane è la morte ... una morte innaturale, provocata, procurata, eseguita ... perseguita per fini assolutamente incomprensibili e ingiustificabili.
L'altro elemento che accomuna queste persone è che sono persone assolutamente normali, autonome, indipendenti ... e, in vita si sono fatti delle canne, hanno fumato hashish e/o marijuana.
L'elemento discordante che li distingue è il trattamento subito da parte dell'informazione giornalistica, da parte della stampa locale o nazionale, da parte dei cosiddetti "media", da parte degli strumenti di formazione civile delle coscienze ...

Esaminiamo i diritti all'informazione ...
Nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948) all'articolo 19 si legge:
Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni ed idee attraverso ogni mezzo ...

Nella Costituzione Italiana del 1947 all'art. 21 si legge:
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Nella carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (2000) all'articolo 11 si legge:
Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche ...

Ecco, da queste citazioni emergono gli elementi discriminanti di trattamento che hanno subito i nostri "casi" ...
I cittadini hanno diritto di ricevere ... informazioni ed idee attraverso ogni mezzo ... presumendo che le informazioni siano veritiere e verificabili e che, la stampa, ovvero il mezzo di comunicazione più diffuso, dato che non può essere soggetta a ... censure ... sia libera e indipendente, visto che la libertà di ricevere ... informazioni o idee deve essere senza ... ingerenza da parte delle autorità pubbliche ...

Per Federico la stampa locale ha dato subito credito alle comunicazioni ufficiali della Polizia, per Alberto addirittura la stampa locale ha esaltato, esagerato la fonte ufficiale ... per Aldo la stampa locale è stata tenuta all'oscuro degli eventi ....

Di più la Corte Costituzionale con una sentenza (n. 420 del 1994) dichiara che:
è necessario garantire il massimo pluralismo esterno, al fine di soddisfare, attraverso una pluralità di voci concorrenti, il diritto del cittadino all'informazione.
La "dottrina", inoltre ha provveduto a distinguere i diritti all'informazione e nello specifico del diritto del cittadino verso i titolari dei mezzi di informazione, ha stabilito:
  • diritto alla riservatezza
  • la tutela dei minori
  • diritto alla rettifica nei casi di diffusione di notizie false e tendenziose
Stando a quello che ci dice la nostra costituzione, la libertà di espressione può essere considerata in una duplice dimensione:
1) attiva nel senso del diritto ad informare
2) passiva intesa come diritto dei cittadini ad essere informati

I media sono responsabili della costruzione del senso sociale dei fenomeni collettivi. I media giornalistici non si limitano a trasmettere le informazioni sul reale, ma “ordinano” il reale, attraverso la presentazione degli eventi meritevoli di attenzione e la valutazione degli stessi.
La domanda di etica dell’informazione – emergente al livello dei destinatari e degli emittenti – è l’espressione di un bisogno di qualità, di orientamento e di guida. Il lettore è spesso solo di fronte alla massa di informazioni, che non sempre si rivelano essenziali alla comprensione dei temi rilevanti per la sua vita come individuo e come cittadino. Il paradosso della comunicazione contemporanea sta in ciò: l’esposizione alle varie fonti di informazione, per quanto sia massiccia, non sembra generare una maggiore comprensione.
La pratica dell’attività informativa è fondata su una serie di concetti etici: libertà, responsabilità, oggettività, verità, onestà, riservatezza o privacy.
L’obbligo – morale e giuridico – di tutelare il diritto della collettività ad essere informata in maniera obiettiva, completa e onesta discenderà da un’assunzione di responsabilità da parte dei giornalisti (e della categoria istituzionalmente organizzata) che, da un lato, avrà origine da una riflessione sulle conseguenze dell’informazione in generale (intendendo con ciò la possibilità di produrre e un’informazione buona e un’informazione cattiva), e, dall’altro lato, terrà conto degli interessi della collettività. Si tratta per lo più di un impegno che fa leva sull’autodisciplina e sull’autoregolamentazione dei singoli e del sistema informativo.

Affinché il diritto all’informazione sia reale, occorre garantire la completezza e l’affidabilità delle informazioni e, soprattutto, l’accesso alle informazioni stesse. L’esercizio di tale diritto senza limiti potrebbe tuttavia rappresentare una minaccia per la privacy dei rispondenti.

Perugia "sicura da morire" In duemila in piazza per Aldo






11/11/2007
La manifestazione per chiedere verità e giustizia per il 44enne ucciso dal carcere
Dopo l'arresto per possesso di piante di marijuana. Dubbi sulla versione ufficiale

Perugia "sicura da morire" In duemila in piazza per Aldo

Checchino Antonini
Perugia nostro inviato
«Ce lo dica se suo marito soffre di cuore, ce lo dica che lo salviamo!», le diceva a brutto muso un ispettore capo entrato nella cella alle sette e mezza di quella domenica. «Ce lo dica? ma Aldo era già morto». Roberta Radici ricorda con rabbia mentre sfila con duemila persone per le strade di Perugia. In duemila per chiedere verità e giustizia sulla morte del suo compagno Aldo Bianzino, arrestato con lei, per possesso di marijuana, al mattino di due giorni prima, di fronte al figlio più piccolo, Rudra, minorenne, che restò solo con la nonna di 91 anni in un casale di Pietralunga, a nord di Perugia, tra Gubbio e Città di Castello. Infarto, dirà la prima bozza di versione ufficiale ma poi le perizie scopriranno lesioni alla milza, al fegato, quattro emorragie al cervello molto importanti, ossia con grandi perdite di sangue. E nessun segno esteriore di percosse. La magistratura indaga contro ignoti per omicidio e su una presunta omissione di soccorso di un agente penitenziario di servizio quel 14 ottobre che incassa subito la solidarietà preventiva di An. Un pestaggio da professionisti, una roba da film americano, pensano molti di quelli venuti a manifestare da varie città accanto agli amici e ai familiari di Aldo. I tre figli sul camioncino che guida il corteo ringraziano tutti. Uno è avvolto in una bandiera arcobaleno.
Mite falegname, esile, meditativo, incensurato. Aldo era venuto negli anni '80 dal Piemonte, passando per l'India dei suoi maestri spirituali, a cercare terra per vivere in pace e suonare l'armonium per il suo canto rituale. Molti manifestanti sono gente della montagna come lui. Altri sono attivisti della sinistra umbra, Prc, Cuc, anarchici, antiproibizionisti dell'Mdma, Cobas, Rdb, ultras delle curve di Perugia e Ternana, militanti del Gabrio di Torino, gente venuta da Roma, dalla Toscana ma anche Radicali e gente normale scossa dalla vicenda di Aldo. Con le lacrime agli occhi, «non si può morire per del fumo», sfilano gli amici di Alberto Mercuriali, suicida a Forlì dopo l'arresto per pochi grammi d'hashish. E, dietro uno striscione con cinque nomi scritti, i compagni e gli amici degli anarchici arrestati pochi giorni fa a Perugia con l'accusa di terrorismo. Avrebbero spedito una busta con due proiettili alla presidente dell'Umbria, Maria Rita Lorenzetti. Li ha arrestati Ganzer, il capo del Ros dei carabinieri, quello del teorema di Cosenza. «Ma le intercettazioni parlano d'altro e non c'è lo straccio di una prova, anche dopo un interrogatorio reputato violento dal difensore ha ribadito la sua innocenza - dice Aurelio Fabiani, il padre di Michele, il più giovane dei cinque - Lo accusano di aver scritto un volantino contro l'ecomostro di Spoleto (7 piani per 30 metri di larghezza nel centro storico, ndr) simile, per "affinità terminologiche" a un volantino insurrezionalista. In realtà sono solo accusati di essere anarchici. E il sorriso di Lorenzetti, a fianco di Ganzer, suona come una condanna preventiva».
"Sicuri da morire" dice lo striscione d'apertura legando la vicenda di Aldo all'ossessione sicuritaria che vive il Paese. «La città ha dato una prima risposta dal basso», osserva Francesco Piobbichi, responsabile nazionale Droghe del Prc, «questa piazza parla anche di Genova ma chiede di uscire dalla narrazione retorica sulla sicurezza. Se a Perugia ci sono state 31 overdose in dieci mesi è anche perché la logica repressiva produce clandestinizzazione».
Aldo coltivava marijuana, ne hanno trovate 57 piante, ed è bastato a sbatterlo in carcere nonostante una sentenza della Cassazione abbia sancito che possedere erba per uso personale non è reato. Qualcosa è successo in quella cella di Capanne, il nuovissimo carcere perugino, inaugurato da Castelli quand'era guardasigilli. «Non è un luogo famigerato - spiega Patrizio Gonnella di Antigone - è nella media. Per questo quello che è successo ci preoccupa molto di più. E' una storia anomala. Tra suicidi e morti "naturali", dietro le sbarre muoiono in 180 ogni anno. Ma Bianzino non era un piantagrane e la sua non è una morte naturale».
Giuseppe Bianzino somiglia come una goccia d'acqua ad Aldo. «Pare di rivederlo», dice chi conosceva il falegname di Pietralunga. «Al di là di tutto, mio figlio era pacifico e tranquillo - dice - ma anche il peggiore dei delinquenti non lo puoi trattare così. Che nessuno mi chieda se voglio perdonare». «Mai stato tossico, mai stato in un Sert», ripete Gioia Toniolo, la madre dei primi due figli di Aldo, per smentire le «insinuazioni» della stampa locale. D'altronde, l'esame tossicologico non ha rilevato che tracce d'erba. Per quelle non si va al Sert. Il comitato Verità per Aldo non ha dubbi: lo ha ucciso il sistema carcerario, e non c'è fiducia «per uno Stato che processa sé stesso perché tende ad assolversi». L'incidente probatorio della scorsa settimana, quando due dei 5 detenuti sentiti hanno dichiarato di aver sentito Aldo suonare il campanello e la guardia rispondergli sgarbata «Basta, non rompere il cazzo». La paura fa novanta dietro le sbarre. Chissà perché gli altri non hanno parlato? Perché Aldo stava male? Perché cercava un medico, visto che le autopsie hanno trovato una salute di ferro? Perché le amministrazioni stanno zitte? «Chissà a quanti altri è capitato?», si chiede ancora Roberta. «Bianzino è una delle troppe vittime delle leggi repressive - dice Italo Di Sabato dell'Osservatorio contro la repressione - come la Fini Giovanardi».

BIANZINO, ALLA RICERCA DELLA VERITA' 11/11/07

BIANZINO, ALLA RICERCA DELLA VERITA' 11/11/07

Un corteo sfila a Perugia per chiedere che l'inchiesta vada avanti più spedita e faccia chiarezza su troppi punti oscuri. Mentre a sorpresa salta fuori che Aldo non ha costole fratturate come finora si era scritto

Nella foto di R. Martinis un momento della manifestazione

Emanuele Giordana

Domenica 11 Novembre 2007

Perugia - Verità e giustizia per Aldo. Lo striscione rosso su fondo bianco è in testa al corteo che parte da piazza Bove, alla periferia di Perugia. Mille, duemila persone, forse di più. Arrivano alla spicciolata dalla città, dai dintorni, da Roma o da altre città italiane. Dalla campagne collinari dove viveva Aldo Bianzino, ebanista torinese trasferitosi diversi anni fa a Pietralunga ed entrato venerdi 12 ottobre nel carcere di Capanne per uscirne deceduto due giorni dopo. Morto in condizioni misteriose e in un’atmosfera che definire poco chiara è un eufemismo. Inizialmente il caso di Aldo sembrava destinato a qualche trafiletto in cronaca locale con un’indagine chiusa per un decesso dovuto a cause naturali. Ma il sostituto procuratore che lo aveva fatto arrestare per possesso di alcune piante di erba, ha però voluto vederci chiaro aprendo un’inchiesta sulla morte del quarantaquattrenne falegname di Pietralunga che tutti ricordano con commozione e affetto.
Al corteo, voluto da un comitato che si è costituito nelle settimane scorse e raccoglie gruppi e associazioni di vario genere, ci si è arrivati anche per continuare a fare pressione sulle indagini che al momento non sembrano aver prodotto molto oltre alle indagini autoptiche non ancora concluse e a un dossier aperto su una guardia carceraria. Difficile in questi giorni di grande attenzione sul delitto della giovane studentessa americana, “bucare il video” delle cronache piccanti sulla morte con risvolti sessuali che sembra appassionare il giornalismo italiano, mentre la vicenda “ordinaria” della morte di Aldo sembra trovare poco spazio e scarsa attenzione sui quotidiani. Un modo per richiamare l’attenzione su una vicenda dai contorni oscuri e che rilancia il tema della vita (e della morte) nelle carceri di un paese membro del G8 e che ha dato i natali a Cesare Beccaria. Non è un caso se al corteo c’è Patrizio Gonnella, dell’associazione Antigone, o Italo Di Sabato uno dei responsabili dell’osservatorio creato dalla madre di Carlo Giuliani. La famiglia Bianzino è in prima fila. La prima moglie Gioia, la compagna Roberta, i figli Aruna Prem, Elia, Rudra. I tanti amici, Daniela, Gloria, Benedetto… e tanti altri che Bianzino non lo hanno mai conosciuto e che hanno appreso la notizia da internet o da qualche blog.
Intanto le indagini continuano. Quelle di parte sono le più facili da conoscere. Non si nega l’avvocato Massimo Zaganelli che ha preso talmente a cuore il caso che sta difendendo gratuitamente Roberta Radici, l’ultima compagna di Aldo. Lo incontriamo mentre sta accompagnando Roberta, poco prima della manifestazione, al consiglio regionale dell’Umbria dove ha fatto presente all’assessore regionale alle politiche sociali, Damiano Stufara le sue difficoltà economiche (vedi l'articolo su SpoletOnline) visto che la sua pensione non le basterà certo a pagare le spese legali cui va incontro. Tra queste c’è anche la parcella di Giuseppe Fortuni, che Roberta Radici ha nominato come esperto di medicina legale di parte. Ma anche Fortuni, che insegna medicina legale all’università di Bologna e che è noto per le ricerche seguite alla morte del ciclista Pantani, ha più che dimezzato le sue competenze quando ha saputo che per la famiglia di Aldo sarebbe stato un problema. Il fatto è che Zaganelli voleva essere sicuro che tutto il possibile fosse stato fatto prima dell’interramento del corpo di Aldo che avverrà domani con una cerimonia nel suo comune di residenza. E qui arrivano le sorprese.
Fortuni non ha potuto visionare il fegato e il cervello di Aldo che sono stati asportati per ricerche più approfondite ma ha potuto costatare che le sue costole sono in perfetto stato. Quella delle costole rotte (prima due, poi una, ora nessuna) è davvero una storia bizzarra. Come uscì questa notizia sulla stampa? E perché non è mai stata smentita ufficialmente se non adesso che, parlando coi giornalisti, Fortuni testimonia che non c’è alcun segno di trauma sulle costole? Quanto al fegato Fortuni non nasconde le sue perplessità. Ha visto le foto e dunque costatato gli ”strappi” che si devono a una qualche forma di “pressione violenta”. “Certo – dice il medico legale – è persino possibile che la devastazione del fegato di Bianzino si debba a un massaggio cardiaco mal fatto. La letteratura medica mondiale cita qualche caso. Io, nella mia esperienza, forse 30mila autopsie, non l’ho mai visto”.

Bianzino ... ritratto di famiglia

BIANZINO, RITRATTO DI FAMIGLIA 11/11/07

Il ricordo del padre. "Ci si capiva con un gesto" e se si arrabbiava faceva il "digiuno delle parole"

Nella foto di R. Martinis Aruna Prem ed Elia, i due figli maggiori di Aldo Bianzino

Em. Gio.

Domenica 11 Novembre 2007
Perugia - Si abbracciano i tre figli di Aldo, in testa al corteo. Sorridono e anche scherzano tra loro. Elia, il secondo, 21 anni e un lavoro in un ristorante del perugino, ha una bandiera della pace avvolta al collo. Assomiglia davvero a suo padre questo ragazzo magro e lungo con un pizzetto di tutto rispetto sotto il mento. Accanto a lui il primogenito, Aruna Prem, studi da ingegnere telematico a Torino, 24 anni. Attorno a loro molti ragazzi, amici: “tanti non li vedevo da tempo – dice Elia – e sono contento. Mi fa piacere, c’è una bella energia”. Ha fatto il liceo linguistico Elia ma poi ha scelto di smettere e di andare a lavorare: “Ognuno deve fare quel che gli piace”, commenta il fratello e si capisce che non è una frase fatta. Che in questa famiglia, insomma, si respira aria di libertà e di tolleranza.
Così del resto era Aldo Bianzino, così lo ricordano tutti: “un uomo di poche parole? Si è vero – commenta Elia – ma anche una persona che non aveva bisogno delle parole per comunicare. Avevamo un bellissimo rapporto e a volte bastava un gesto. Pensa - dice sorridendo – che il suo modo di arrabbiarsi era tacere: faceva il “digiuno delle parole”. Ci capivamo insomma e io lo aiutavo volentieri. Abbiano fatto assieme tanti mobili e infissi quando andavo ad aiutarlo nel suo laboratorio…qual è la cosa che in questa storia mi ha ferito di più? Che era giovane – dice Elia – e aveva ancora tanto da dare”.
Aruna Prem, capelli nero corvino, osserva il corteo e abbraccia gli amici. Ha ben chiaro il valore simbolico di questa marcia di persone che si chiedono, come tanti che non sono venuti, come sia possibile morire in prigione nell’Italia del 2007: “Vogliamo giustizia, chiarezza, verità”, dice mentre il corteo si snoda dalla periferia di Perugia verso una piazza più centrale. “Se ho fiducia nella magistratura? Devo averla, ci devo sperare”.
Poco più avanti ci sono Gioia, la prima moglie di Aldo. E Roberta, la compagna che quel maledetto venerdi venne portata a Capanne con lui. Gli amici si stringono vicini. Qualche passo indietro c’è Giuseppe Bianzino, il padre di Aldo, viso incorniciato da una barba candida e una somiglianza evidente con l’ebanista di Pietralunga i cui mobili e mobiletti sono sparsi un po’ in tutto il circondario. “Difficile – dice - avere in Italia molta fiducia nella magistratura. Non che non ci siano bravi magistrati, anzi. Ma la nostra è una storia piena di buchi, casi irrisolti, indagini che non hanno portato a nulla. Cosa ricordo di Aldo? L’ultima volta l’ho visto in agosto. Stava bene e anzi mi pareva più sereno del solito e con qualche chilo in più, che non guastava. Aveva ritrovato anche quell’ironia tipica di quand’era ragazzo. Poi ci siamo abbracciati….” Ma qui Giuseppe Bianzino si ferma. Come se volesse, comprensibilmente, difendere l’intimità dei sentimenti dall’invadenza a volte quasi voyeurisitica di noi giornalisti. E che in questi giorni di tragedia qui a Perugia sembriamo più attenti ai delitti “piccanti” che non ai casi dove al centro c’è un’evidente violazione di diritti nel cuore del sistema di sicurezza dello stato. “Ma si sa – dice – certe cose non fanno vendere”.

MUORE IN CARCERE A PERUGIA, GLI AMICI IN PIAZZA

domenica 11 novembre 2007

il manifesto del 10 Novembre 2007
Caso Bianzino
«Aldo, in piazza per la verità»
Oggi la manifestazione a Perugia. E i funerali
Gabriele Carchella

A Perugia si chiede giustizia. Per le strade del capoluogo umbro oggi si manifesta per reclamare la verità sul caso Bianzino, il falegname di 44 anni morto in carcere per cause misteriose. La marcia, promossa dal neonato «Comitato verità per Aldo Bianzino», prenderà il via alle 15 da piazzale del Bove. In tanti hanno dato la loro adesione, a cominciare dalle realtà che formano il comitato: Arci, radicali, amici di Aldo, varie associazioni e circoli. La marcia sarà preceduta dall'incontro a Palazzo Donini tra l'assessore regionale Damiano Stufara e Roberta Radici, compagna di Bianzino. Con questo incontro, la regione Umbria si impegna a richiedere un'inchiesta rapida ed efficace e, forse, anche a sostenere materialmente la famiglia Bianzino. Domani pomeriggio, invece, si svolgeranno i funerali.
Sul caso Bianzino interviene anche Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della Pace: «Siamo scossi da questa grave vicenda, che somma ad altri tragici fatti che da qualche tempo ruotano intorno a Perugia. Ci sentiamo molto coinvolti, ma siamo fiduciosi che si possa far luce sulla verità. Il diritto alla giustizia è uno dei principali affermati dalla Dichiarazione universale dei diritti umani per la quale abbiamo marciato lo scorso 7 ottobre da Perugia ad Assisi». Persone e associazioni si stringono dunque attorno alla famiglia Bianzino, in un caso che getta una cupa ombra sulle nostre carceri. Per capirne qualcosa di più, si attendono gli esami approfonditi, che richiederanno altre settimane di attesa. Forse le perizie mediche potranno spiegare se le lesioni al cervello, la costola fratturata e le altre tracce trovate sul corpo di Aldo sono da collegare a un pestaggio così ben eseguito da non lasciare ematomi esterni. L'unica certezza, al momento, è che Bianzino in carcere era entrato con le sue gambe e in buona salute. Le porte della prigione di Capanne si erano aperte per lui e sua moglie, prelevati dalla casa di Pietralunga, con l'accusa di coltivare cannabis. Del caso ci si occupa anche a Roma.
Il ministero della Giustizia, per ora, non si sbilancia: di fronte alle numerose interrogazioni parlamentari, il dicastero del ministro Mastella preferisce temporeggiare. La risposta alle interrogazioni degli onorevoli Bugio e Migliore è stata letta mercoledì scorso a Montecitorio dal ministro per l'Attuazione del programma Giulio Santagata, in quanto Mastella era impedito a presenziare. Per il guardasigilli, le cause della morte di Aldo Bianzino sono tutte da esplorare. Il ministro riconosce che Bianzino, nella visita all'ingresso del carcere, «è stato trovato in condizioni discrete di salute e senza alcuna lesione fisica». Ma al tempo stesso specifica che «è stato collocato da solo in una cella ubicata presso la cosiddetta "zona filtro" per valutare la presenza di fattori di rischio connessi alla sue condizioni di soggetto facente uso da più di venti anni di sostanze stupefacenti». Insomma, secondo questa versione, Bianzino non stava male ma non scoppiava neanche di salute. Un'ipotesi che sembra avvalorare la tesi di un arresto cardiaco, la prima formulata dai medici legali. E trapelata all'esterno del carcere di Capanne ancor prima delle conferme ufficiali, quasi a voler escludere qualsiasi responsabilità delle autorità carcerarie. Comunque, il ministro della Giustizia rimane aperto ad altre spiegazioni: «L'ipotesi che la morte del signor Bianzino possa essere conseguenza di una condotta colpevole, sia pure di natura puramente omissiva, è uno dei temi delle investigazioni in corso».
* Lettera22

martedì 6 novembre 2007

L’utilizzo della fascia tricolore da parte del Sindaco e di suoi delegati: la circ. Ministero interno n. 5/1998

L’utilizzo della fascia tricolore da parte del Sindaco e di suoi delegati: la circ. Ministero interno n. 5/1998

di Carlo Lopedote

L’art. 50, comma 12 del D.Lgs. 267/2000 definisce la fascia tricolore come “distintivo del Sindaco”, unitamente allo stemma della Repubblica Italiana e lo stemma del Comune (questi ultimi compaiono sulla fascia dal 1997), da portare a tracolla.
La ratio di tale disposizione supera la funzione di mera indicazione di un semplice ornamento, ma va ad individuare un simbolo certamente dotato di specifici significati, e per tali ragioni non avulso da un uso mirato ed opportuno.
Nella prassi assistiamo oggi ad un utilizzo della fascia tricolore, in occasione delle manifestazioni ufficiali, praticato non soltanto da parte dei sindaci (o vicesindaci nella funzione di sindaco pro-tempore), ma esteso anche a membri dell’amministrazione delegati in rappresentanza. Si ritiene utile, alla luce di numerose sollecitazioni e richieste di approfondimento da parte di attori del sistema enti locali, soffermarsi sulla legittimità, o sulla opportunità di un uso così frequente del medesimo segno distintivo. In merito alle modalità di utilizzo della fascia tricolore, il 4 novembre 1998, l’allora Ministro dell’Interno Rosa Russo Iervolino emanava una circolare, pubblicata poi sulla Gazzetta Ufficiale n°270 del 18 novembre 1998, indirizzata a tutti i Prefetti e ai rappresentanti delle autonomie, all’interno della quale si invitavano i Sindaci a fare “un uso corretto e conveniente della fascia tricolore”, nella consapevolezza “ della dignità e del decoro della carica, e tale da non scalfire la realtà dello Stato come elemento di unità giuridica”.
Nel precisare come la disciplina dell’uso della fascia non sia dettata compiutamente dalle norme, ma sia rinvenibile in talune disposizioni di legge e di carattere amministrativo “via via emanate e riguardanti per lo più aspetti settoriali del problema….”, il Ministro specifica, nella circolare, come tale disciplina sia legata “principalmente alla natura delle funzioni sindacali, di capo dell’amministrazione comunale e di ufficiale di governo”.
Ma occupiamoci in primis dell’utilizzo relativo all’esercizio delle funzioni sindacali di Capo dell’Amministrazione comunale.
La specifica funzione distintiva attribuita alla fascia quale elemento simbolico, si spiega nel provvedimento ministeriale, è altresì “finalizzata a rendere palese la differenza tra il Sindaco e gli altri titolari di pubbliche cariche e, nel contempo, sottolinea l’impegno che il Sindaco si assume nei confronti dello Stato e della comunità locale”.
In tale contesto, non appare casuale, secondo il Ministro, la collocazione della disposizione, nel corpo normativo del Testo Unico degli Enti locali, immediatamente dopo la descrizione della nuova procedura del giuramento del Sindaco e del Presidente della Provincia davanti ai rispettivi consigli, accomunando le norme “sotto il profilo del significato istituzionale”.
Il titolare del dicastero evidenzia altresì come, nell’uso corrente, si sia affermata la consuetudine che il Sindaco indossi la Fascia tricolore in tutte le manifestazioni ufficiali, in qualunque veste intervenga.
E’ proprio qui necessario, con riferimento a tale casistica, l’operato richiamo ad “un uso corretto e conveniente della fascia tricolore”, nella consapevolezza “ della dignità e del decoro della carica, e tale da non scalfire la realtà dello Stato come elemento di unità giuridica”.
In tal senso possiamo operare alcune riflessioni:
· Il Sindaco in quanto tale può utilizzare la fascia tricolore, anzi deve utilizzarla, nell’adempimento delle proprie funzioni istituzionali, tutte le volte in cui la propria veste di partecipazione alle manifestazioni pubbliche venga interpretata come appunto espletamento del proprio ruolo ed assuma ufficialità; diversamente, nell’ipotesi di partecipazione a titolo privato, o comunque non ufficiale, si dubita fortemente non solo della opportunità, ma anche della legittimità dell’utilizzo di tale simbolo distintivo;
· Coerentemente con tale enunciazione, si è del parere che costituisca un uso legittimo del simbolo l’utilizzo della fascia tricolore da parte del vice-sindaco, nelle ipotesi previste dall’art. 53, comma 2 del D.Lgs. 267/2000, cioè in caso di assenza o impedimento temporaneo, nonché nei casi di sospensione dall’esercizio della funzione ai sensi dell’art. 59 della medesima disposizione legislativa;
In tali ipotesi il vice-sindaco sostituisce in toto il Sindaco nell’espletamento dei compiti istituzionali in qualità di capo dell’amministrazione, ereditandone ovviamente prerogative e funzioni. In tal modo viene assicurata la continuità nell’esercizio appunto del suddetto ruolo di capo dell’amministrazione, analogamente rispetto a quanto accade in ulteriori casi in cui si verifica la sostituzione del primo cittadino ( es: presidenza della Giunta comunale, poteri di ordinanza ex lege). Siamo ovviamente ben lontani dall’ipotesi di mera assenza del Sindaco dal luogo in cui si svolge la manifestazione pubblica, che nella prassi dal Ministro citata dà luogo ordinariamente all’utilizzo della delega di partecipazione da parte del primo cittadino nei confronti di appartenenti al proprio esecutivo o comunque all’amministrazione di riferimento;
· Strettamente collegata all’ultima riflessione è la seguente, sulla legittimità o meno dell’utilizzo della fascia tricolore da parte di un delegato del Sindaco a partecipare per conto dell’Amministrazione.
Particolarmente esplicativa è l’indicazione ministeriale della circolare, laddove si evidenzia la finalità di “rendere palese la differenza tra il Sindaco e gli altri titolari di pubbliche cariche”, nonché il riferimento esplicito, mediato dal dettato normativo, alla fascia quale elemento “distintivo del Sindaco”. Dal tenore di tale affermazione si evincerebbe, a parere dello scrivente, la illegittimità dell’uso della fascia da parte di soggetti rappresentanti dell’amministrazione delegati a partecipare a qualsiasi manifestazione ufficiale, in quanto la fascia medesima, dal contesto interpretativo che ne deriva, configurerebbe il distintivo del Sindaco quale capo dell’amministrazione ( ruolo e funzione, non certo persona fisica, quindi utilizzabile dal vice-sindaco in qualità di sindaco pro-tempore), e non di quest’ultima, la quale è dotata, per analoghi fini distintivi, di ulteriori simboli (gonfalone, stemma) utilizzabili in conformità alle previsioni normative vigenti.
Non a caso, all’interno della circolare, è lo stesso Ministro, pur evidenziando la capacità di ordinamenti autonomi quali gli enti locali di autodeterminarsi normativamente entro la “cornice ben definita di un ordinamento generale che, originario e sovrano, determina i caratteri peculiari ed il modo di essere di tutti i soggetti che in esso si trovano a coesistere ed operare”, ad invitare i vertici delle autonomie locali al rispetto di adeguati canoni comportamentali, nel rispetto di valori caratterizzanti l’ordinamento costituzionale, quali il principio dell’unità ed indivisibilità della Repubblica e il dovere, statuito per gli amministratori pubblici dall’art. 54 della Carta Costituzionale, “di adempiere con disciplina e ed onore le funzioni pubbliche ad essi affidate”.
Tale invito assume ancor più valenza di orientamento alla luce della riforma costituzionale del 2003, e degli ulteriori spazi di autonomia normativa riconosciuta agli enti locali dalla novella degli articoli del titolo V della Carta Costituzionale.
Certamente sussiste oggi ampia possibilità, per le autonomie locali di disciplinare, con propria normazione regolamentare,. l’utilizzo dei propri segni distintivi, anche allo scopo di rappresentanza, senza così ricorrere all’impiego di un simbolo, quale la fascia tricolore, attinente nello specifico al capo dell’amministrazione, ed allo svolgimento delle proprie funzioni in conformità alle indicazioni di legge.
Restano valide, ovviamente, in merito ad utilizzi specifici della fascia tricolore, esplicite previsioni, come quella dell’art. 70 del D.P.R. 3.11.2000, n° 396, laddove si prevede che “l’ufficiale di stato civile, nel celebrare il matrimonio, deve indossare la fascia tricolore di cui all’articolo 50, comma 12 del D.Lgs. 267/2000, da portarsi a tracolla”. Siamo qui davanti ad un’ipotesi specifica, attinente allo svolgimento delle funzioni di ufficiale di stato civile, al quale, indipendentemente dall’individuazione fisica del soggetto, bensì in virtù della titolarità e della particolarità delle funzioni espletate nel procedimento amministrativo cui si sottende, si estende la prerogativa dell’utilizzo del simbolo distintivo sindacale.
Appare logico, in virtù della eccezionalità della previsione, individuare un ambito di applicazione tassativamente restrittivo alla stessa, respingendo, conseguentemente, possibili interpretazioni estensive.

IL NUOVO TITOLO V DELLA COSTITUZIONE

... Con la modifica del Titolo V, la Costituzione del 1948 si è adeguata alla nuova realtà dell'ordinamento regionale, alla riforma degli enti locali realizzata nel decennio 1990-2000 ed al decentramento amministrativo.
La legge costituzionale del 2001 ridefinisce, all'insegna di una più marcata applicazione del principio di sussidiarietà, le competenze tra Stato e Regioni, ridisegnando il ruolo di queste ultime tanto a livello interno quanto sul piano internazionale
La prima fondamentale modifica concerne la posizione di parità che viene attribuita agli enti territoriali minori e allo Stato come elementi costitutivi della Repubblica.
Rinnovando l’art. 114 Cost., l’art. 1 della legge 1/2003 omologa lo Stato ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni come elementi costitutivi e parificati della Repubblica. In virtù del nuovo disposto costituzionale di cui all'articolo 114, gli enti locali acquistano una legittimità originaria.
«La Repubblica - recita infatti l'articolo in esame - è costituita (e non più solo «si ripartisce») dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato» (l°comma); lo stesso articolo prosegue attribuendo a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni natura di enti autonomi, con propri statuti, poteri e funzioni (2° comma); prevede, infine, uno status speciale per Roma, quale capitale della Repubblica (3° comma). Viene abrogato l'articolo 115, che statuiva che «le Regioni sono costituite da enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione», anche se occorre precisare che si tratta di una abrogazione puramente formale.
Il disposto dell'ex articolo 115 è infatti ripreso dall'articolo 114, laddove si prevede che non più soltanto le Regioni ma anche i Comuni, le Città metropolitane e le Province sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione.

4 NOVEMBRE 2007 CERIMONIA COMMEMORATIVA A CASTROCARO IL SINDACO SENZA FASCIA TRICOLORE

L'attuale maggioranza di centro destra alla "guida" del Comune di Castrocaro Terme e Terra del Sole ha ceduto alle "pressioni" dei consiglieri della fiamma tricolore, in prima battuta con il mancato rinnovo del contributo annuale all'Istituto storico delle Resistenza, ora con la latitanza istituzionale dell'amministrazione locale durante le celebrazioni per la commemorazione del 4 novembre ....

Pur avendo affisso i manifesti con il programma della celebrazione della festa di Stato, i consiglieri comunali e i cittadini presenti agli appuntamenti ufficiali hanno amaramente constatato che il Comune di Castrocaro Terme e Terra del Sole era latitante.

Pur presente il Gonfalone comunale alla posa delle ghirlande, ne il Sindaco ne il Vice Sindaco hanno presenziato in veste ufficiale con la "fascia tricolore", simbolo di dignità e di decoro della carica, contravvenendo così ai doveri istituzionali imposti per consuetudine, per legge e per lealtà e fedeltà all'unità giuridica dello Stato.

E' un fatto di particolare gravità ... in sfregio ai propri concittadini ... eredi e testimoni del sacrifico dei caduti e dei martiri delle grandi guerre.

E' un fatto ancor più grave dato che il 4 novembre è festa dello Stato e al Sindaco sono demandate le funzioni di rappresentanza in capo ai Prefetti
.

Un'amministrazione comunale che rinuncia ai propri doveri istituzionali non può essere rappresentativa dell'intera comunità locale.

Occorre per questo ricordare ai nostri amministratori i doveri ai quali sono stati chiamati a rispondere ...

Una circolare ricorda ai sindaci il significato simbolico dell'indumento

Fascia tricolore, dove e come usarla


(Circ. Interno 5/98) Gazzetta Ufficiale n. 270 del 18-11-1998






La fascia tricolore indossata dai sindaci di una città durante le cerimonie ufficiali non è un semplice ornamento, ma un simbolo legato alle trasformazioni cui la carica di primo cittadino sta andando incontro nell'ordinamento italiano (da un anno sulla fascia compare lo stemma del Comune accanto a quello della repubblica), dunque va usata con consapevolezza e decoro. Lo ricorda il ministro dell'Interno Rosa Russo Jervolino, che il 4 novembre ha firmato una circolare (Gazzetta ufficiale n. 270 del 18 novembre 1998) indirizzata a tutti i prefetti e ai rappresentanti delle province e delle regioni autonome, in cui si invita i sindaci a fare" un uso corretto e conveniente della fascia tricolore", nella consapevolezza "della dignità e del decoro della carica, e tale da non scalfire la realtà dello Stato come elemento di unità giuridica".



MINISTERO DELL'INTERNO

CIRCOLARE 4 novembre 1998, n. 5/98. Fascia tricolore.

Ai Prefetti della Repubblica e, per conoscenza:
Al presidente della commissione di coordinamento della Valle d'Aosta
Al commissario del Governo per la provincia di Bolzano
Al commissario del Governo per la provincia di Trento
Ai commissari del Governo nelle regioni a statuto ordinario
Al commissario dello Stato per la regione Sicilia
Al rappresentante dello Stato nella regione Sardegna
Al commissario del Governo nella regione Friuli-Venezia Giulia
Al presidente della giunta regionale della Valle d'Aosta


L'uso della fascia tricolore da parte del soggetto che rappresenta la comunità locale si caratterizza per il suo valore altamente simbolico, reso ancor più evidente dalla modifica apportata dall'art. 4 della legge 15 maggio 1997, n. 127 all'art. 36, comma 7, della legge 8 giugno 1990, n. 142 [1].

Il più recente intervento normativo, con il quale è stato espressamente disposto che "distintivo del sindaco è la fascia tricolore con lo stemma della Repubblica e lo stemma del comune", è di carattere sostanziale e significativo, laddove si ponga mente al processo di trasformazione ordinamentale in atto nel nostro Paese e alla particolare valenza nella cura degli interessi pubblici conferita al sindaco con il sistema della investitura diretta.

Viene attribuito ad un elemento simbolico una specifica funzione che è distintiva, siccome finalizzata a rendere palese la differenza tra il sindaco e gli altri titolari di pubbliche cariche e che, nel contempo, sottolinea l'impegno che il sindaco si assume nei confronti dello Stato e della comunità locale.

Non a caso la disposizione segue immediatamente, nel corpo normativo, la nuova procedura del giuramento del sindaco e del presidente della provincia davanti ai rispettivi consigli: le due norme risultano così accomunate sotto il profilo del significato istituzionale.

La disciplina dell'uso della fascia tricolore non è dettata compiutamente dalle norme, ma è rinvenibile in talune disposizioni di legge e di carattere amministrativo via via emanate e riguardanti per lo più aspetti settoriali del problema; ed in realtà, è legata principalmente alla natura delle funzioni sindacali, di capo delI'amministrazione comunale e di ufficiale di governo.

Nell'uso corrente si è affermata la consuetudine che il sindaco indossi la fascia in tutte le occasioni ufficiali, in qualunque veste intervenga. Per il significato del tricolore statuito dall'art. 12 della Carta Costituzionale [2]; ciò richiama tangibilmente nell'immaginario collettivo il principio costituzionale dell'unità ed indivisibilità della Repubblica.

L'alto ruolo istituzionale svolto dal sindaco impone, pertanto, un uso corretto e conveniente della fascia tricolore nell'avvertita consapevolezza della dignità e del decoro della carica, e tale da non scalfire la realtà dello Stato come elemento di unità giuridica, nel cui ambito ogni cittadino è tenuto a partecipare al mantenimento dei valori che lo caratterizzano e lo fondano.

Va tenuto presente, a tal fine, che l'art. 54 della Carta Costituzionale [3], nell'imporre a tutti i cittadini il dovere di fedeltà alla Repubblica, statuisce per gli amministratori l'ulteriore dovere di adempiere con disciplina ed onore le funzioni pubbliche ad essi affidate.

Il sistema delle autonomie, infatti, anche nelle sue più avanzate rappresentazioni e concretizzazioni, ha comunque un limite, connaturato alla stessa essenza dell'autonomia: che è quello di dare luogo ad ordinamenti liberi di autodeterminarsi entro la cornice ben definita di un ordinamento generale che, originario e sovrano, determina i caratteri peculiari ed il modo di essere di tutti i soggetti che in esso si trovano a coesistere e ad operare.

Si invitano le SS.LL. a partecipare quanto precede ai vertici degli enti territoriali, sottolineando che il delicato ruolo che l'attuale assetto ordinamentale riserva agli organi esponenziali delle comunità locali implica sempre adeguati canoni comportamentali.

Il Ministro: Russo Jervolino






1. Si tratta dell'inserimento sulla fascia tricolore del simbolo del Comune, non previsto dalla vecchia legge 142 sulle autonomie locali. Il comma è stato modificato dalla Legge Bassanini (127/97) e recita così: "Distintivo del sindaco è la fascia tricolore con lo stemma della repubblica e lo stemma del comune, da portarsi a tracolla della spalla destra".

2. L'articolo 12 della Costituzione indica le caratteristiche della bandiera italiana: "La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni".

3.
L'articolo 54 della Costituzione è il seguente: "Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge".


art. 36 della Legge 8 giugno 1990, n. 142

36. Competenze del sindaco e del presidente della provincia. - 01. Il sindaco e il presidente della provincia sono gli organi responsabili dell'amministrazione del comune e della provincia.
1. Il sindaco e il presidente della provincia rappresentano l'ente, convocano e presiedono la giunta, nonché il consiglio quando non è previsto il presidente del consiglio, e sovrintendono al funzionamento dei servizi e degli uffici e all'esecuzione degli atti.
2. Essi esercitano le funzioni loro attribuite dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti e sovrintendono altresì all'espletamento delle funzioni statali e regionali attribuite o delegate al comune e alla provincia.
3. Il sindaco è inoltre competente, nell'ambito della disciplina regionale e sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale, a coordinare gli orari degli esercizi commerciali, dei servizi pubblici, nonché gli orari di apertura al pubblico degli uffici periferici delle amministrazioni pubbliche, al fine di armonizzare l'esplicazione dei servizi alle esigenze complessive e generali degli utenti.
4. In caso di inosservanza degli obblighi di convocazione del consiglio, previa diffida, provvede il prefetto.
5. Sulla base degli indirizzi stabiliti dal consiglio il sindaco e il presidente della provincia provvedono alla nomina, alla designazione e alla revoca dei rappresentanti del comune e della provincia presso enti, aziende ed istituzioni.
5-bis. Tutte le nomine e le designazioni debbono essere effettuate entro quarantacinque giorni dall'insediamento ovvero entro i termini di scadenza del precedente incarico. In mancanza, il comitato regionale di controllo adotta i provvedimenti sostitutivi ai sensi dell'articolo 48.
5-ter. Il sindaco e il presidente della provincia nominano i responsabili degli uffici e dei servizi, attribuiscono e definiscono gli incarichi dirigenziali e quelli di collaborazione esterna secondo le modalità ed i criteri stabiliti dall'articolo 51 della presente legge, nonché dai rispettivi statuti e regolamenti comunali e provinciali.
6. Il sindaco e il presidente della provincia prestano davanti al consiglio, nella seduta di insediamento, il giuramento di osservare lealmente la Costituzione italiana.
7. Distintivo del sindaco è la fascia tricolore con lo stemma della Repubblica e lo stemma del comune, da portarsi a tracolla della spalla destra.


Un esempio per tutti:
il regolamento comunale di Meldola per l'uso dello stemma, del gonfalone e della fascia tricolore

CAPO IV LA FASCIA TRICOLORE Articolo 16 Fascia tricolore

1. Distintivo del Sindaco è la fascia tricolore con lo stemma della Repubblica e lo stemma del Comune, da portarsi a tracolla (art. 50, comma 12 del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 e s.m.i.).
2. L'uso della fascia tricolore è strettamente riservato alla persona del Sindaco nelle sue funzioni di Capo dell’Amministrazione Comunale e di Ufficiale di Governo, il quale potrà farsi rappresentare con l'uso del distintivo.

3. Oltre ai casi stabiliti dalle leggi, il Sindaco può indossare la fascia tricolore in tutte le occasioni ufficiali, in qualunque veste intervenga (come Capo dell’Amministrazione Comunale o come Ufficiale di Governo); l’alto ruolo istituzionale svolto dal Sindaco impone un uso corretto e conveniente della fascia tricolore nell’avvertita consapevolezza della dignità e del decoro della carica e dell’impegno assunto nei confronti dello Stato e della Comunità locale, uso, tale pertanto da non scalfire la realtà dello Stato come elemento di unità giuridica, nel cui ambito ogni cittadino è tenuto a partecipare al mantenimento dei valori che lo caratterizzano e lo fondano.

art. 50, comma 12 del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 e s.m.i.
Articolo 50 Competenze del sindaco e del presidente della provincia
1. Il sindaco e il presidente della provincia sono gli organi responsabili dell'amministrazione del comune e della provincia.
2. Il sindaco e il presidente della provincia rappresentano l'ente, convocano e presiedono la giunta, nonche' il consiglio quando non e' previsto il presidente del consiglio, e sovrintendono al funzionamento dei servizi e degli uffici e all'esecuzione degli atti.
3. Salvo quanto previsto dall'articolo 107 essi esercitano le funzioni loro attribuite dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti e sovrintendono altresi' all'espletamento delle funzioni statali e regionali attribuite o delegate al comune e alla provincia.
4. Il sindaco esercita altresi' le altre funzioni attribuitegli quale autorita' locale nelle materie previste da specifiche disposizioni di legge.
5. In particolare, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunita' locale. Negli altri casi l'adozione dei provvedimenti d'urgenza ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell'emergenza e dell'eventuale interessamento di piu' ambiti territoriali regionali.
6. In caso di emergenza che interessi il territorio di piu' comuni, ogni sindaco adotta le misure necessarie fino a quando non intervengano i soggetti competenti ai sensi del precedente comma.
7. Il sindaco, altresi', coordina e riorganizza, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell'ambito dei criteri eventualmente indicati dalla regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonche', d'intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio, al fine di armonizzare l'espletamento dei servizi con le esigenze complessive e generali degli utenti.
8. Sulla base degli indirizzi stabiliti dal consiglio il sindaco e il presidente della provincia provvedono alla nomina, alla designazione e alla revoca dei rappresentanti del comune e della provincia presso enti, aziende ed istituzioni.
9. Tutte le nomine e le designazioni debbono essere effettuate entro quarantacinque giorni dall'insediamento ovvero entro i termini di scadenza del precedente incarico. In mancanza, il comitato regionale di controllo adotta i provvedimenti sostitutivi ai sensi dell'articolo 136.
10. Il sindaco e il presidente della provincia nominano i responsabili degli uffici e dei servizi, attribuiscono e definiscono gli incarichi dirigenziali e quelli di collaborazione esterna secondo le modalita' ed i criteri stabiliti dagli articoli 109 e 110, nonche' dai rispettivi statuti e regolamenti comunali e provinciali.
11. Il sindaco e il presidente della provincia prestano davanti al consiglio, nella seduta di insediamento, il giuramento di osservare lealmente la Costituzione italiana.
12. Distintivo del sindaco e' la fascia tricolore con lo stemma della Repubblica e lo stemma del comune, da portarsi a tracolla. Distintivo del presidente della provincia e' una fascia di colore azzurro con lo stemma della Repubblica e lo stemma della propria provincia, da portare a tracolla.

domenica 4 novembre 2007

Istituto per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea della provincia di Forlì-Cesena

l'Istituto per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea della provincia di Forlì-Cesena è associato all' Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia
(ente riconosciuto con legge 16 gennaio 1967, n. 3)

L’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia è stato fondato da Ferruccio Parri nel 1949 con lo scopo di raccogliere, conservare e studiare il patrimonio documentario del Corpo Volontari della Libertà e del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia.
Nel corso di oltre 50 anni di attività esso ha contribuito in modo determinante, con numerosissime iniziative di studio e pubblicazioni, all'affermazione in Italia di una storiografia contemporanea su base scientifica.

L'Istituto, che fonda la propria attività sui valori ispiratori della Resistenza espressi nella Costituzione repubblicana del 1948 e sugli ideali dell'antifascismo, democrazia, libertà e pluralismo culturale, è oggi, sotto la presidenza di Oscar Luigi Scalfaro, presidente emerito della Repubblica italiana, un sistema federativo di 65 Istituti associati diffusi sull'intero territorio nazionale.

Oltre alla pubblicazione di fonti e saggi per lo studio della storia contemporanea e alla pubblicazione della rivista Italia contemporanea, esso promuove la ricerca storica attraverso la Scuola Superiore di Storia Contemporanea, con convegni di studio e con una biblioteca e un archivio specializzati; assicura la comunicazione e la divulgazione critica dei risultati della ricerca e svolge attività di formazione e aggiornamento soprattutto fra gli insegnanti.

A partire dal giugno del 1949 l’INSMLI si è dotato della rivista “Il movimento di liberazione in Italia”, la prima e per vent’anni l’unica rivista di storia contemporanea italiana. Dal 1974 la nuova serie della rivista si intitola “Italia contemporanea”.

L’INSMLI è anche una rete di luoghi di elaborazione di ricerca scientifica che ha prodotto più di settanta volumi pubblicati direttamente dall’Istituto nazionale e oltre trecento monografie pubblicate dagli Istituti associati.

Con la legge n.3 del 16 gennaio 1967 è stato possibile ottenere dal Ministero della Pubblica Istruzione il distacco di insegnanti per lo svolgimento di attività lavorativa presso gli istituti della rete INSMLI.
Il lavoro di tali insegnanti comprende l’attività di formazione e aggiornamento in servizio degli insegnanti di storia di ogni ordine e grado.

A partire dall'anno 2005-2006 l’INSMLI ha costituito nel suo ambito una Scuola Superiore di Studi di Storia Contemporanea con l'obiettivo di formare giovani studiosi, laureati o con dottorato di ricerca, delle diverse regioni nazionali.

L'Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia fonda la propria attività sui valori ispiratori della Resistenza ed espressi nella Costituzione repubblicana, e gli ideali di antifascismo, democrazia, libertà e pluralismo culturale.
Si propone, attraverso gli Istituti e gli Enti ad esso associati, di:

a) conservare e valorizzare il proprio patrimonio documentario, di cui sono parte consistente e qualificante i documenti dell'antifascismo e della resistenza;

b) raccogliere e conservare le memorie individuali e collettive e studiare il nesso tra memoria e storia contemporanea;

c) raccogliere, ordinare e mettere a disposizione degli studiosi, anche in collaborazione con gli Archivi di Stato, le fonti per lo studio della storia contemporanea nazionale e internazionale;

d) promuovere la ricerca sulla storia contemporanea;

e) assicurare la comunicazione e la divulgazione dei risultati della ricerca scientifica attraverso i mezzi ritenuti di volta in volta più idonei (pubblicazioni, anche periodiche, convegni, seminari, mostre, audiovisivi, strumenti informatici, eccetera);

f) fornire agli studiosi la consulenza e i servizi culturali utili alla ricerca, nei settori di archivio, biblioteca e didattica, anche in collaborazione con le strutture degli Istituti e degli Enti associati;

g) svolgere attività di formazione e aggiornamento dei docenti, di ricerca, mediazione e consulenza didattica, stabilendo rapporti di collaborazione con il Ministero della Pubblica Istruzione, le istituzioni scolastiche e il mondo della scuola e promuovendo forme di comunicazione e divulgazione (iniziative editoriali e strumentazioni informatiche, lezioni, corsi, convegni, seminari, ecc.);

h) fornire mezzi e supporti per la formazione professionale di giovani ricercatori;

i) fornire servizi e svolgere un ruolo di indirizzo, coordinamento e vigilanza scientifica, ai sensi della Legge 16/1/67 nei confronti degli Istituti e degli Enti associati, nel rispetto, comunque, della loro autonomia;

l) promuovere, anche in collaborazione con le Università e con altri enti di ricerca ed istituzioni a livello nazionale e internazionale, l'integrazione dei servizi e della ricerca sulla storia contemporanea.
[art. 2 dello Statuto INSMLI]

Le biblioteche della rete degli istituti sono specializzate nella storia contemporanea italiana e sono un punto di riferimento per laureandi, studiosi, docenti su tutto il territorio nazionale. Esse raccolgono più di 350.000 monografie e migliaia di testate di riviste culturali nazionali e internazionali.
Diciotto Istituti della rete aderiscono a SBN e i rispettivi cataloghi sono quindi consultabili online (http://www.internetculturale.it/genera.jsp).

Dal 2004 l'Insmli collabora con l'Associazione ESSPER per lo spoglio di periodici italiani e stranieri e di storia contemporanea. Attraverso il portale di ESSPER (http://www.biblio.liuc.it/scripts/biblio/essper/ricerca.asp) si rendono disponibili online gli spogli completi delle principali riviste edite dagli Istituti soci dell’INSMLI.

link utili:
Archivi della Resistenza e dell'età contemporanea

VERITA’ PER ALDO - Il carcere? sicuro da morire!

SABATO 10 Novembre - Manifestazione e Assemblea

Partenza alle ore 15 Piazzale Bove - Perugia

VERITA’ PER ALDO

Il carcere? sicuro da morire!

Aldo Bianzino e la sua compagna Roberta il 12 ottobre sono stati arrestai con l’accusa di possedere e coltivare alcune piante di marijuana. Trasferiti il giorno dopo al carcere di Capanne, sono separati. Roberta condotta in cella con altre donne, Aldo, in isolamento.

Da quel momento Roberta non vedrà più il suo compagno lasciato in buone condizioni di salute. La mattina seguente, domenica 14 ottobre alle 8,15, la polizia penitenziaria entrata nella cella, trova Aldo agonizzante che poco dopo muore.

Immediatamente la ex moglie, la compagna, i figli e gli amici si mobilitano per fare chiarezza su questa ingiusta morte chiedendo verità e giustizia perchè di carcere non si può morire!

Di fatto dopo un goffo tentativo di insabbiamento da parte delle autorità carcerarie (le prime indiscrezioni psulle cause della sulla morte si riferivano ad un improbabile infarto) famiglia e amici vengono a sapere che dall’autopsia risulta che Aldo è stato vittima di un vero e proprio pestaggio, il corpo infatti presentava una frattura alle costole, gravi lesioni al fegato, alla milza e al cervello.

Aldo Bianzino è morto ormai da più di due settimane.

Il silenzio delle istituzioni e dei rappresentanti della politica, dei cosiddetti garanti della nostra sicurezza sociale è assordante.

Indaffarati a sperimentare modelli di governance escludenti, a scagliarsi contro ambulanti, lavavetri, vagabondi, non hanno trovato, non stanno trovando, non trovano il tempo per superare l’alone di impunità, per denunciare chi umilia le persone sotto custodia, infligge sofferenze fisiche e psichiche ai detenuti, uccide.

E' tempo per noi di prendere posizione, spazio e voce.

Di raccontare. Di mantenere viva la memoria collettiva. Di evitare pericolosi insabbiamenti e difendere le nostre esistenze e le nostre pratiche identitarie da abusi, repressioni e pestaggi, “venduti”come atti di legalità.

E’ tempo di disinnescare le “paranoie” securitarie e arrestare le aggressioni proibizioniste, disattivare le dinamiche di esclusione e di controllo sui corpi.

Di resistere alla criminalizzazione degli stili di vita, alla violenza dell’intolleranza, all’esercizio arbitrario dei poteri di repressione e di controllo, alla manipolazione dell’informazione.

E’ tempo di agire, di porre interrogativi a chiunque desideri verità e giustizia per Aldo Bianzino, Giuseppe Ales, Federico Aldrovandi, Alberto Mercuriali. Marcello Lonzi.

E’ tempo di reclamare la scarcerazione immediata dei 5 ragazzi di Spoleto, vittime di una perversa applicazione del 270bis, strumento di controllo e intimidazione preventiva utilizzato ormai per sedare qualunque forma di dissenso.

E’ tempo di costituirci in comitato per la verità su Aldo, di ottenere verità e giustizia sugli omicidi di stato, di abrogare la legge Fini-Giovanardi e reclamare la fine di ogni proibizionismo, di contrastare e opporci ad una società che sempre meno tollera qualsiasi espressione fuori dalla norma, di farci carico delle sorti dei processi per il g8 di Genova rispondendo ai pruriti vendicativi del potere con una manifestazione nazionale che contrasti e interrompa la costruzione di processi di oblio e rimozione collettiva.

SABATO 10 Novembre Perugia Manifestazione e Assemblea

Partenza alle ore 15 Piazzale Bove - Perugia

Un appuntamento nazionale contro tutte le intolleranze.

Perchè un paese intollerante e’ tutto tranne che un paese sicuro!

Perchè per una pianta d’erba in cella non si deve finire!

Perché in carcere non si deve morire!Verità per Aldo!

http://veritaperaldo.noblogs.org/