
Le fate romagnole dispensano protezione in particolare ai bimbi appena nati. Per ricevere la loro benevolenza occorreva svolgere vari rituali scaramantici come quello di offrire ''pani bianchi o rosate focacce (…) durante il loro passaggio, che in vari luoghi dell’Alpe di Romagna, avviene al vigilia dei morti, o la notte di Natale o dell’Epifania oppure recitare paròl faldédi'' (parole fatate) ''ed anche formole d’invocazione che in Romagna Toscana usavano dire a propiziarsi la fata del mattino nel mettersi in viaggio, e che vive tutt’ora in bocca ai fanciulli romagnoli: Turana, Turana - Rispondi a chi ti chiama - Di beltà sei regina - del cielo e della terra - di felicità e di buon cuore''
Alle fate è infine dedicato un racconto ambientato nelle colline fra Castrocaro e Faenza:
''Sotto Monte Sassone, accanto ai ruderi del castello della Pré Mora (Pietra Mora), nel banco dello spungone sullo strapiombo della voragine del rio della Samoggia, fra le colline a monte di Faenza e Castrocaro nella zona di demarcazione dell’antico confine fra la terra del Papa e quella del Granducato, sono scavate le quattro grotte delle fate (chiamate anche busa – buca - e camaraz – cameraccie). Questa pietra era un prodigioso palazzo, nei lontani millenni delle Fate che lo disertarono quando l’uomo non credette più alla poesia, ma vi lasciarono, pegno del ritorno, i loro magici telai d’oro, su cui l’anima tesseva le canzoni che nessuno sa più ! E perché l’uomo non ne facesse sua preda, confidarono la guardia dei telai a un biscione che sibila minacce e con un soffio precipita nella voragine le ladre scalate, quando mai tentassero le porte inviolabili''. [L. de Nardis, ''La Piè'', 1925]
Nessun commento:
Posta un commento